“Quanno spónta la luna a Marechiaro”… una canzone diventata leggenda
Set 26, 2015 - Germana Squillace
marechiaro
“L’ultimo suo lavoro è uno dei non pochi ricordi di quel delizioso Mezzogiorno, dove i canti popolari escono spontanei, melodici, e per imitarli ci vuole un’attitudine particolare, della quale il Tosti è provvisto abbondantemente. Il canto napoletano, da lui recentemente pubblicato, è uno dei suoi migliori per il carattere giusto, la snellezza e il fuoco che lo riscalda. S’intitola Marechiare, dal nome di un paesello, in riva al mare, ed i versi, molto graziosi, sono di Salvatore di Giacomo, buon poeta popolare”. Con queste parole, pubblicate sulla Gazzetta Musicale di Milano nel 1886, il giornalista Filippo Filippi sembra aver racchiuso completamente la poesia che si cela all’interno di una delle canzoni napoletane più celebri: A Marechiaro.
Le uniche definizioni che forse non convincono sono “poeta popolare” riferite a di Giacomo, una delle voci più originali della fine del secolo, nonché poeta, scrittore e giornalista, che riuscì attraverso la lingua napoletana a sublimare i più puri sentimenti dell’uomo. Inoltre egli fu capace di creare una leggenda che unita alla realtà consacrò ulteriormente A Marechiaro tra le canzoni più amate del mondo. In un racconto pubblicato sul “Corriere di Napoli” il 6 febbraio 1894, lo stesso di Giacomo narrò l’origine della canzone. Durante una gita fatta con alcuni amici all’Aquarium di Napoli, decise di fare un giro nel golfo a bordo di un vaporetto della Stazione Zoologica. Da lì a Marechiaro il passo fu breve e si ritrovarono tutti in un’osteria situata non lontana dalla celebre “fenestrella”.
Il padrone dell’esercizio confessò alla comitiva che il celebre di Giacomo era stato lì a pranzo e che dopo aver osservato il panorama, compose la canzone. In verità, nello stesso articolo, l’artista affermò che quella era la sua prima volta a Marechiaro. In realtà, come sostengono in molti, il compositore scrisse quegli splendidi versi mentre beveva un caffè seduto a un tavolino del prestigioso Gambrinus. Eppure senza saperlo, di Giacomo aveva descritto una realtà che era esistita davvero. Reale era la finestra con il garofano sul davanzale e reale era anche una giovane che si chiamava Carolina, moglie di uno dei proprietari di quell’osteria dove l’artista si era seduto la prima volta. Dell’ispirazione di Francesco Paolo Tosti, si sa invece, che trasse quella melodia così semplice eppure così ammaliante, ispirandosi alle note intonate da un posteggiatore. L’uomo ogni sera prima di iniziare, con il suo flauto, ad accompagnare le canzoni del suo compagno suonava, per esercitarsi, quello stesso motivetto che apre A Marechiaro. Si narra che di Giacomo per far musicare il suo testo chiese, scherzosamente all’amico Tosti il compenso di una sterlina d’oro. Somma che l’artista pagò pur di contribuire alla creazione della celebre canzone.
Ancora oggi per ricordare il luogo che, nella leggenda o nella realtà, ispirò il poeta napoletano, vi è sotto la “fenestrella” di Marechiaro una targa commemorativa a forma di pergamena con il pentagramma della canzone. A rendere ancora più suggestivo il luogo, alcuni garofani rossi riempiono il davanzale per dare vita a una delle storie d’amore più emozionanti della canzone napoletana.
Fonti: Vittorio Paliotti, “Storia della canzone napoletana”, Roma, Newton Compton, 1992
Francesco Sanvitale, Andreina Manzo, “Il canto di una vita: Francesco Paolo Tosti”, Torino, E.D.T., 1996
Emma Giammattei, “Il romanzo di Napoli”, Napoli, Guida, 2003