25 e 26 Ottobre 1954: il triste anniversario della violenta alluvione che colpì la costiera amalfitana
Ott 25, 2015 - Germana Squillace
#SaveRummo e #IoStoConIPiccoliAgricoltori sono solo alcuni degli hashtag creati dalle persone per aiutare piccole aziende in seguito alle alluvioni che l’anno scorso colpì Benevento e non solo. Il Calore, il Fortore e il Tammaro sono alcuni dei fiumi esondati che hanno ricoperto i territori circostanti spazzando via strade, ponti, aziende, vigneti, insomma anni di lavoro. Più di mille persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case, più di dieci i morti. Eppure mentre eravamo intenti a seguire questi drammatici eventi, forse abbiamo dimenticato che proprio in quei giorni, precisamente tra il 25 e il 26 ottobre, ricorre un triste anniversario: l’alluvione che nel 1954 colpì la costiera amalfitana.
“E’ forse qui (nella bellezza naturale di questa costa) l’origine della tragedia. Gente che vive 360 su 365 giorni dell’anno in un simile scenario non è invogliata a prevedere disastri; e, quando il disastro arriva, ne è colta fatalmente alla sprovvista”. Così Indro Montanelli scriveva sul Corriere della Sera a proposito dell’alluvione che colpì tutto il Salernitano. Parole che sembrano così attuali, perché all’epoca, come oggi, furono danneggiate un migliaio di aziende e non solo. Il nubifragio, che vide più di cinquecento millilitri d’acqua cadere sulla zona, provocò circa trecento vittime soprattutto a causa dei crolli delle abitazioni sovraffollate situate nei quartieri popolari di Salerno e nelle frazioni più povere del capoluogo. I feriti e coloro che diventarono senzatetto in seguito all’alluvione furono molto di più e superarono le cinquemila persone. La zona era stata già duramente colpita dall’alluvione del 1949. Erano stati progettati da anni lavori di bonifica montana e di regolamentazione delle acque, ma l’omissione della realizzazione di tali opere fece trovare l’area impreparata all’arrivo di un’ulteriore tragedia.
Cava de’ Tirreni fu l’epicentro del nubifragio con lo straripamento dei fiumi Bonea e Cavaiola che trascinarono detriti, alberi abbattuti e fango su Maiori, Vietri sul Mare, Minori e Tramonti, danneggiandoli fortemente. In particolare l’alluvione cambiò profondamente la morfologia di Vietri, la cui spiaggia fino ad allora era quasi totalmente inesistente poiché di natura sottile e rocciosa, e di Maiori, in cui le frazioni alte e il corso principale vennero totalmente distrutti con il crollo di quindici palazzi. Oggi proprio in questo piccolo centro sorge una lapide che ricorda le trentasette vittime del luogo. Inoltre, una frana staccatasi dal pendio di un monte da poco disboscato, spazzò via il villaggio di Molina e un antico acquedotto, chiamato Ponte del Diavolo. A Salerno le zone più colpite furono quelle situate nella parte occidentale: i rioni di Canalone, Annunziata, Oliviero e Calata San Vito. Qui si ebbe un totale di centosette morti, di cui soltanto ottantasei furono identificati. Si calcolarono danni per cinquanta miliardi delle vecchie lire. In seguito a questa tragedia iniziò la costruzione dei primi rioni di case popolari nella zona orientale di Salerno per ospitare tutti coloro che avevano perso la propria abitazione. Il primo lotto fu il rione Santa Margherita, caratterizzato da piccoli condomini a 4-5 piani. E ancora, nel 2010 la costiera, in particolare Atrani, è stata colpita da un’ulteriore alluvione che ha provocato la morte di una venticinquenne barista di Maiori.
Fonti: Ugo Leone, “Sicurezza ambientale”, Napoli, Guida, 2006
Renzo Rosso, “Bisagno. Il fiume nascosto”, Venezia, Marsilio, 2014