Troilo e Cressida. Storia tragicomica di eroi e buffoni: tra l’assurdo e la follia
Mag 17, 2014 - Francesco Pipitone
“Lussuria, lussuria; sempre guerra e lussuria; non c’è nient’altro che rimanga di moda” (William Shakespere, Troilo e Cressida).
Nella presentazione di questa rubrica, “L’illusione del cinema“, vi avevo avvertito che qualche volta ci poteva essere una sorpresa, ed infatti oggi è così, perché parlerò di una rappresentazione teatrale: “Troilo e Cressida. Storia tragicomica di eroi e buffoni”, cui ho assistito ieri presso Diffusione Teatro a Torre Annunziata. L’opera è una riscrittura di Alessandro Paschitto, con la regia di Mario Autore ed Eduardo Di Pietro, della tragicommedia di William Shakespeare “Troilo e Cressida”, che parla della storia d’amore tra Troilo, fratello di Ettore, e Cressida, sullo sfondo della guerra di Troia. L’illusione, qui, è presente in varie declinazioni: l’illusione di capire la vita, indirizzarla, di comprendere l’essere umano e le sue azioni, di poter scrivere o riscrivere il destino. Si tratta inoltre di uno spettacolo prodotto dal basso, a cura del Collettivo LunAzione, grazie ai co-produttori che hanno acquistato delle quote.
Un cerchio sul palco è una scena nella scena, coperto dai fogli che Tersite, il buffone, ha sparso, dove si svolge il dramma, mentre al di fuori gli attori sono immobili e dànno le spalle al pubblico, semplici figure che aspettano il proprio turno per gettarsi nella storia, almeno finché la storia d’amore tra i protagonisti raggiunge il livello massimo di carica emotiva, quando Troilo vede Cressida rinunciare al pegno d’amore offertole dal principe al momento di separarsi. Troilo, che fino a quel punto rappresenta l’amore ideale, immortale, sicuro di vincere tutte le difficoltà, si sporca nella realtà e diventa un disilluso. Cressida, invece, oscilla sempre tra l’amore ideale e la passione, istintiva, senza legami, che è conseguenza e fonte di libertà; in lei è evidente lo scontro tra l’utopia e il reale con le sue contingenze, destinate al sopravvento.
La vita dei personaggi è continuamente travolta dal caos, ogni decisione che prendono è quella sbagliata e il destino è sempre estraneo al meccanismo razionale di causa-effetto. La guerra e la lussuria, dunque il dionisiaco, sono gli istinti che si fondono e piombando nel mondo stravolgono la vita degli uomini: la lussuria, con il rapimento di Elena, dà il pretesto all’assetato di potere e gloria Agamennone di dichiarare guerra a Troia, fa decidere ad Achille di tornare in battaglia, distrugge l’animo di Troilo – guerra e lussuria fanno in modo che migliaia di soldati, di entrambi gli schieramenti, muoiano, stiano lontani per lunghi anni dalle proprie famiglie, senza capire perché tutto ciò sta succedendo. D’altra parte nemmeno i re, i principi, i comandanti sono coscienti dall’assurdità delle loro azioni e della vita, essi con i loro uomini combattono e spargono sangue come per inerzia, in un contesto che si dimentica dell’umanità, della pietà, del rispetto, come in occasione del sacrificio di Patroclo e del trascinamento del corpo di Ettore da parte di Achille. In quest’ottica l’umanità tutta somiglia a Sisifo, condannato a trasportare sulla cima del monte il masso che però rotola, fatalmente, giù, non appena si avvicina alla cima: ma qui, a differenza di quanto accade nel trattato di Albert Camus, è lecito immaginare Sisifo, ossia l’umanità, felice?
Se non la felicità, almeno la serenità o la stabilità è possibile raggiungere, come dimostra Tersite. <<Sono un buffone, posso dire “pane al pane, brutto al brutto”>>, cioè il suo essere irrispettoso, egoista, diverso, lontano dalla virtù, folle, lo pone al di sopra di tutti perché riesce a guardare in faccia la realtà nuda e cruda, il suo essere assurda. La follia consente a Tersite di non soccombere, di non essere un burattino della crudeltà e della noia degli Dèi, del fato, del caos; una follia la quale è, citando parzialmente Edgar Allan Poe, il grado più elevato dell’essere umano.
Messo da parte Tersite, altri dieci sono i personaggi di questa rielaborazione di “Troilo e Cressida”, per cinque attori, ai quali dunque è affidato il compito di impersonare due maschere ciascuno a seconda dell’andamento del copione. A tale oscillazione corrisponde la mutazione nel loro aspetto esteriore dei segni di colore rosso tracciati sul corpo, che si confondono man mano che la rappresentazione procede fino a essere lavati via, fino a che gli attori smettono di essere maschere per diventare umanità. I cinque (Mario Autore, Annalisa Direttore, Alessandro Paschitto, Michele Iazzetta, Cecilia Lupoli; Martina Di Leva veste i panni di Tersite) dimostrano di sapersi muovere egregiamente nel meccanismo, mettendo a nudo l’essenza della recitazione e dell’essere umano, ovvero la capacità di essere uno, nessuno e centomila. La bravura individuale di questi giovani che suggerisce di essere talento, poiché lontana da egoismi e capace di coordinarsi con quella degli altri, tanto che spesso si ha la sensazione di trovarsi quasi ad assistere a una danza, pure grazie ai movimenti studiati e agli intermezzi musicali. Una performance mai banale o noiosa, ma sempre incalzante, piacevole, coinvolgente, che instaura un rapporto diretto con il pubblico, che sbriciola la quarta parete. Più volte, mentre assistevo, mi sono chiesto: cosa accadrebbe se adesso mi alzassi e mi mettessi a recitare con loro?