‘O Vascio: da puteca a ristorante turistico per effetto della gentrificazione
Mar 08, 2020 - Ilaria Finizio
Sono tanti i napoletani che a sentir parlare di gentrificazione storcono il naso. Secondo il vocabolario Treccani, il termine indica “la riqualificazione di zone o quartieri cittadini, con conseguente aumento del prezzo degli affitti e degli immobili e migrazione degli abitanti originari verso altre zone urbane”. Questo fenomeno ha spaccato l’opinione pubblica in molte metropoli europee. Una su tutte Berlino, il cui sindaco è impegnato – dal 2019 – nel tentativo di riportare il maggior numero possibile di immobili in mano comunale, per garantire ai cittadini un freno all’incredibile impennata del costo degli affitti. Ma, d’altronde, la Germania tutta è diventata un punto di riferimento per gli studi relativi al processo di desquamazione e rinnovamento che sta coinvolgendo il continente. Basti pensare a Lipsia, che nel 2017 veniva già ribattezzata capitale tedesca della gentrification. Non a caso, è la città in cui la Merkel ha portato avanti gli studi.
Ma l’Italia è un paese profondamente diverso dalla Germania; e il “nostro sud” ancor di più. Allora nella nostra bella Napoli – la città del sole, del mare, della pizza e del mandolino – la gentrificazione neanche sappiamo cos’è. Eppure ci scorrazza sotto al naso, fino a entrarci nelle narici con i suoi odori profondamente nuovi e insoliti.
Il centro storico della città è invaso da insegne scritte in inglese, bed & breakfast con la faccia di Totò, vecchie edicole sommerse dai souvenirs, esempi di street art sulle facciate di chiese abbandonate. E ancora, palazzoni dal sapore minimal a due passi dalle macerie di Piazza Mercato e un Mc Donald’s piazzato all’interno della Galleria Umberto I.
Ma c’è un elemento in particolare che, tra le tante sfaccettature della città, sta subendo le trasformazioni che la gentrificazione porta con sé: il caratteristico vascio, troppo spesso misconosciuto. Uno spazio controverso, per legge inabitabile eppure da sempre abitato.
Nel corso dei secoli, il basso napoletano è stato – e ancora oggi è – casa, puteca, bordello, bazar, pizzeria arrangiata, bottega, deposito e chissà cos’altro. Basti pensare che questa tipologia di abitazione viene fatta risalire al 1200 – e, per alcuni, addirittura all’epoca greco-romana – e consisteva in un piccolo locale situato nella zona del porto, che fungeva da deposito per le merci provenienti dal mare. I più poveri cominciarono ad abitarci, per esigenza. Non a caso, il basso è sempre stato sinonimo di povertà e malattia. Ma il basso porta con sé un alone di fascino e mistero, forse legato a quella malinconia tipica dell’animo partenopeo. Tanti gli intellettuali che ne sono rimasti affascinati, uno tra tutti Boccaccio. E tanti gli autori – soprattutto napoletani – che hanno lasciato ai posteri una concezione del basso abbastanza ripugnante, assimilando queste abitazioni a dei tuguri nei quali sarebbe impossibile sopravvivere dignitosamente persino per un animale.
Ma ‘o vascio è l’emblema della dignità del popolo napoletano, che reagisce alla povertà e si prende cura dei pochi metri quadri in cui abita assieme a troppe persone.
È interessante come, negli anni di Bassolino, fu offerta la possibilità ad alcune famiglie di trasferirsi in nuove costruzioni fuori dal centro storico della città. L’offerta fu spesso rifiutata. Molti cittadini preferirono restare “in strada” piuttosto che lasciare le proprie strade; la propria vita. Per chi abita un basso è proprio la concezione della strada a essere stravolta. Le mura domestiche e l’asfalto, il dentro e il fuori. Tutto è casa. E proprio per questo motivo si viene accolti sempre con grande inclusione. Tra i vicoli di Forcella come in quelli dei Quartieri Spagnoli, e non soltanto, basta guardarsi attorno per far sedere il proprio sguardo a tavola con dei perfetti sconosciuti.
Ma gli anni passano e la città comincia a mutare la pelle. Mentre Antonietta, Maria, Peppe e molti altri continuano ad abitare nelle loro quattro mura scure e profumate, sono tanti i bassi che si trasformano in ristoranti super gettonati o bed and breakfast pronti ad accogliere i turisti di tutto il mondo. Un tentativo di convivenza tra l’anima antica di un popolo che difende con le unghie e con i denti le proprie radici e il business che si insinua in una città tanto bistrattata quanto affascinante agli occhi del mondo.
In Vico Lungo del Gelso – la zona dei Quartieri Spagnoli decisamente più popolata, da turisti e locals – sotto i gelsi che il conte Spinelli fece piantare nel Cinquecento, le prostitute sostavano in attesa dei propri clienti. E l’abitudine è rimasta nei secoli, fino ad arrivare agli anni Ottanta. Ad oggi, la strada ospita tanti ristoranti dal tono casereccio ma raffinato. Uno di questi situato proprio in un antico basso.
Ma la convivenza tra passato e futuro – tra le tradizioni e il turismo – non è sempre pacifica. Abbiamo ascoltato la testimonianza de Il Basso Napoletano, piccolo basso a due passi da San Gregorio Armeno adibito a b&b e costretto a chiudere i battenti, per via della poca cura e del poco rispetto dei visitatori nei confronti dell’abitazione.
Che sia soggetto alle trasformazioni esterne o che resti ancorato alla propria natura, il vascio – inutile negarlo – racchiude il fascino malinconico della terra di Partenope. E il metro di misura di una rivoluzione del tessuto urbano, profonda e in divenire.