‘Il Soldato di Napoli’: perché venne riconosciuto questo appellativo per l’epidemia di Spagnola
Apr 10, 2021 - Annalisa Romano
La malattia virale comunemente riconosciuta come Spagnola, fortemente contagiosa, diffusasi fra il 1918 e il 1920, è rimasta nella storia come “la grande influenza“. I dati emessi dall’Istituto Superiore di Sanità riportano il numero di vittime: in soli due anni sono state registrate 50 milioni di persone decedute. Una pandemia senza rivali, dunque, che si insinuò anche negli angoli più remoti del mondo, dal Mar Glaciale Articolo alle più lontane isole del Pacifico.
Spesso confrontata con la situazione odierna, è possibile evincere comunque dissomiglianze peculiari. A differenza del Covid-19, infatti, i bambini e le fasce più giovani, tra i 20 e i 40 anni, erano le più colpite, in forma grave, lasciando invece gli anziani fuori dal pericolo di mortalità. I test effettuati sui corpi congelati riportarono le modalità di nascita e l’evoluzione della malattia: a sottotipo H1N1 (sarà così poi denominata in termini medici), coinvolgeva il sistema respiratorio, l’apparato cardiocircolatorio e nervoso.
Studi dimostrarono che negli organismi maggiormente sani, il sistema immunitario produceva in risposta all’infezione quantità eccessive di citochine, particolari tipi di proteine. Da questo scaturiva un’insufficienza respiratoria graduale e letale. Diversa era la situazione dei soggetti con un sistema immunitario più debole, come gli anziani: per loro le probabilità di sopravvivenza sarebbero risultate maggiori.
Le prime notizie della diffusione arrivarono dai giornali di Madrid nella primavera 1918. l’Agenzia di stampa spagnola Fabra diffondeva un comunicato allarmante: “Una strana forma di malattia a carattere epidemico è comparsa a Madrid… l’epidemia è di carattere benigno non essendo risultati casi letali”.
La ‘febbre’ colpì 8.000.000 spagnoli, tra cui anche il re Alfonso XIII. Nello stesso periodo, la commedia lirica ‘La canción del olvido’ ideata da José Serrano, pianista e compositore, raggiunse il picco del successo. Inscenata per la prima volta a Teatro Lirico di Valencia nel 1916, l’opera, appartenente al genere della zarzuela, raccontava della Napoli del 1799.
Scene tratte da un’immaginaria Sorrentinos, un’ambientazione partenopea, saranno unite per sempre al male che stava colpendo la popolazione, il quale, infatti, poi verrà riconosciuto con l’appellativo, ‘Soldado de Nápoles’ (Soldato di Napoli).
In particolar modo, il librettista Federico Romero commentò l’opera dicendo che sopportò eroicamente “la terribile epidemia di febbre detta “il soldato di Napoli” perché questa serenata era tanto orecchiabile quando la malattia, sebbene meno mortale”.
Questa dichiarazione fu riportata nell’opera di Ryan Davis “The Spanish Flu: Narrative and Cultural Identity in Spain“. Parole che sancirono la nascita della correlazione tra il virus e la lugubre immagine di morte e malattia rappresentata nel soldato di Napoli.
Dal principio l’epidemia da Covid-19 è stata paragonata in tutti i suoi aspetti con la ‘spagnola’. Le complicanze a carico del sistema respiratorio, infatti, sembrano accomunare le due malattie. Ciononostante, è importante riconoscere il periodo storico del 1918. Era la fine della prima guerra mondiale, dove i soldati vivevano in trincea, ammassati, deperiti e allo stremo. La popolazione, scoraggiata, pativa il freddo dell’inverno e la fame.
Di conseguenza, malnutrizione, scarsa igiene e ospedali sovraffollati trasformarono la violenza del virus in un’infezione batterica di portata mondiale. Sintomi emorragici in diverse parti interne dell’occhio, emorragia delle mucose, in particolare da orecchie, naso, stomaco e intestino, erano gli effetti più frequenti.
La situazione cambiò radicalmente in un baleno. Dall’India al Brasile, dalla Persia alla Spagna, dal Sudafrica all’Ucraina, l’intera popolazione mondiale rimase affetta da questo potente killer. Le restrizioni da parte de Governo arrivarono da subito. Furono alzate barricate intorno alla città e tutte le famiglie restarono in casa, all’epoca senza tv. I bambini studiarono da casa, e 100 anni fa come oggi, l’isolamento pareva l’unica soluzione per debellare il virus.
Tra le tante testimonianze, quella lasciata dal pittore, Edvard Munch, anch’esso colpito dal male, resta la più emblematica. Decise di dipingere sé stesso durante la malattia. L’opera ‘Autoritratto dopo influenza spagnola’, raffigura tutti i segni dell’ epidemia: persone che parevano spettri. A un visitatore che osservava il suo Autoritratto definì la puzza nauseante, dichiarando: “Non vede che sono quasi sul punto di decompormi? Sfumature cupe del rosso color sangue, decomposizione e disfacimento”.