Spedaliere, avvocato ed ex Napoli Primavera: “Ogni calciatore è un’azienda, dovrebbero investire nel territorio”


L’avvocato Luciano Spedaliere ha coltivato fin da piccolo il sogno di diventare calciatore, un desiderio nato nelle strade della sua infanzia, quando giocava con il mitico Super Tele davanti alla salumeria dei genitori. Proveniente da una famiglia appassionata di calcio, con un padre e quattro fratelli tifosi del Napoli, ha respirato calcio fin da subito. Nonostante la sua grande passione, il suo sogno di indossare la maglia del Napoli e segnare gol allo Stadio San Paolo è stato solo parzialmente realizzato: Spedaliere ha calcato il prato del celebre stadio durante gli allenamenti, sia con gli Allievi che con la Primavera del Napoli, lasciando il segno in diverse occasioni, allenato dai due mostri sacri del calcio, il “Pelè bianco” Angelo Benedicto Sormani, e il “piede sinistro di Dio” Mariolino Corso.

Intervista a Luciano Spedaliere, avvocato ed ex calciatore del Napoli

Fin dall’inizio, Spedaliere ha avuto come modello Omar Sivori, il leggendario calciatore argentino famoso per il suo estro e la sua fantasia. Tuttavia, il suo vero idolo è sempre stato Gigi Riva, apprezzato per la sua serietà, forza fisica e capacità realizzativa, qualità che Luciano Spedaliere ha cercato di emulare nel corso della sua carriera.

Durante la sua esperienza calcistica, Spedaliere ha vissuto momenti indimenticabili. Tra le partite che ricorda con maggiore affetto c’è la sfida contro il Bari, essenziale per il passaggio alle finali per il titolo nazionale primavera nella quale segnò il gol decisivo. Al contrario, la sconfitta contro l’Inter nella finale di Coppa Italia Primavera, in cui la sua squadra perse per 2-0, è uno dei ricordi più amari della sua carriera. Dopo aver lasciato il calcio giocato, Luciano Spedaliere non ha mai abbandonato la passione sportiva ma non ha più avuto occasione di frequentare l’ambiente sportivo.

Ha notevole esperienza sul campo, e si è laureato in Giurisprudenza, con una tesi sulla disciplina giuridica del contratto di lavoro del calciatore professionista! Spedaliere, che frequenta da quasi 40 anni le aule di giustizia del diritto del lavoro, crede fermamente che il successo nel calcio non dipenda solo dal talento fisico, ma richieda un costante allenamento della mente e una forte determinazione. Ai giovani che vogliono inseguire il sogno di diventare calciatori, consiglia di studiare e allenarsi senza mai separare lo sviluppo intellettuale da quello atletico. La sua filosofia è chiara: le prime delusioni non devono scoraggiare, ma anzi rafforzare la volontà di continuare a migliorarsi.

Napoli Primavera 1979-80. Spedaliere è il primo da sinistra, accosciato

Quali sono le principali difficoltà che i giovani calciatori incontrano nel raggiungere il successo?

Le difficoltà principali per i giovani calciatori oggi sono legate al fatto che il calcio si gioca per più anni rispetto al passato. Un tempo si arrivava al massimo a 30-32 anni, mentre oggi, con una vita sana e una buona alimentazione, un calciatore può tranquillamente giocare fino a 38-40 anni. Questo significa che anticipare troppo le scelte sui giovani talenti è un errore. Spesso si giudicano i ragazzi troppo presto, a 16-18 anni, e se non sono pronti si pensa che non possano fare i calciatori. In realtà, molti giocatori maturano più tardi, a 23-24 anni, quindi il suggerimento che darei alle società è di attendere un po’ di più prima di dare giudizi definitivi.

Lei ha sottolineato l’importanza della formazione continua per i giovani calciatori. Quali consigli darebbe ai giovani che non riescono a emergere subito nel calcio professionistico?

Il consiglio che darei ai giovani calciatori è di non avvilirsi se non riescono a raggiungere la Serie A a 18 anni. La maturazione arriva con il tempo, e non mi meraviglia che qualcuno possa arrivare al top a 25 anni. La crescita non è solo fisica, ma anche intellettuale. È fondamentale che i giovani comprendano che il loro percorso non si esaurisce a 18 anni e che devono continuare a lavorare su se stessi. Bisogna avere pazienza e lavorare sulla propria crescita complessiva.

Come può l’esperienza all’estero arricchire la formazione di un giovane calciatore?

Andare all’estero è un’esperienza molto arricchente per un giovane calciatore. I sistemi calcistici sono diversi da paese a paese, così come il rapporto con i tifosi e l’ambiente in generale. In Inghilterra, ad esempio, c’è molta meno pressione rispetto all’Italia. Consiglio vivamente ai giovani di considerare un’esperienza all’estero, non solo per crescere dal punto di vista calcistico, ma anche per ampliare i loro orizzonti culturali. Oggi, purtroppo, molti giovani calciatori italiani sono riluttanti a lasciare il paese, e penso che questo sia un errore.

Spesso si dice che il calcio italiano non valorizza abbastanza i giovani talenti. Crede che sia un problema di strutture o di mentalità?

È un problema che riguarda un po’ tutto: le strutture in Italia sono fatiscenti, mancano campi adeguati e non c’è una cultura che promuova la crescita dei giovani. Il problema è anche dei dirigenti che non considerano l’importanza dello sviluppo intellettuale dei giocatori, e di accompagnamento per le loro famiglie a cominciare dall’asilo nido delle strutture calcistiche. Negli Stati Uniti, ad esempio, il basket passa dall’università, e i giocatori si formano sia fisicamente che mentalmente. In Italia manca questa visione olistica dello sviluppo dell’atleta, e ritengo che sia fondamentale obbligare i giovani a studiare, anche per avere una base intellettuale che li aiuti nel loro percorso sportivo.

Lei propone una figura diversa di procuratore sportivo, che accompagni il giocatore non solo nella firma del contratto, ma anche nella gestione del patrimonio. Come dovrebbe cambiare il ruolo del procuratore?

Il procuratore, per come è concepito oggi, appare anche all’esterno come una figura che assiste il giocatore solo al momento della firma del contratto. Ma cosa succede durante gli anni in cui il contratto è attivo? Il procuratore scompare e si dedica ad altri giocatori? Io immagino un procuratore che segua il calciatore a 360 gradi, che lo aiuti a gestire il suo patrimonio e a investire in modo intelligente. Ad esempio, un calciatore che guadagna molti soldi potrebbe aprire un ristorante o una scuola, ma ha bisogno di qualcuno che lo guidi in questo percorso. Il procuratore non dovrebbe essere solo un mediatore contrattuale, ma un vero e proprio accompagnatore nella crescita del giocatore, come una figura manageriale.

Vede i calciatori come aziende individuali che potrebbero contribuire allo sviluppo del territorio. In che modo i calciatori possono diventare veri e propri imprenditori?

Ogni calciatore dovrebbe essere visto come una piccola azienda. Quando scendono in campo, ci sono 22 giocatori che rappresentano 22 aziende, e se consideriamo le sostituzioni e gli allenatori, abbiamo 34 aziende in campo ogni settimana. Queste aziende guadagnano milioni di euro, ma spesso non lasciano nulla al territorio. Il mio consiglio ai calciatori è di investire nel territorio aprendo attività o aziende che possano creare ricchezza anche per gli altri, ma soprattutto per i medesimi i quali spesso finiscono la carriera anche con difficoltà economiche. I calciatori devono essere guidati in questo, ed è per questo che il ruolo del procuratore è fondamentale.

Quale messaggio vorrebbe dare ai giovani che sognano di diventare calciatori professionisti?

Il mio consiglio principale è di studiare e di allenarsi, ma di non pensare allo studio solo come un percorso scolastico. Oggi i giovani calciatori possono guardare video online per imparare dai migliori, studiare l’alimentazione, l’allenamento e anche le lingue. È fondamentale avere un approccio alla vita completo e non abbattersi mai. Anche se all’inizio le cose non vanno come previsto, se si ha talento e determinazione, bisogna continuare a credere nei propri sogni. Inoltre, l’esperienza all’estero è un’opportunità incredibile per crescere, non solo come calciatori ma anche come persone.


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