E’ una delle prime commedie che scrive. Chiamiamole commedie, ma Eduardo porta in scena il dramma e la vita di una Napoli del dopoguerra che vuole dimenticare, ripartire senza mai perdere lo spirito e l’amore per le sue tradizioni. E’ nel 1929 che viene scritta Natale in casa Cupiello: sono gli esordi della sua carriera quando negli anni venti con i fratelli Titina e Peppino incominciano le prime esperienze teatrali in dialetto, da subito apprezzati. Eduardo recita e scrive, attore, sceneggiatore e regista. Ma il suo amore rimarrà il teatro, consacrato dall’incontro con Pirandello nel 1932, tappa fondamentale per la sua carriera artistica con il quale scriverà “L’abito nuovo”, commedia tratta da un lavoro del maestro siciliano.
Ritorniamo a Napoli, alla commedia che Eduardo scrive osservando la storia della città. Perché il presepe è il protagonista di casa Cupiello. Lucariello, il protagonista rappresentato da un Eduardo ironico, innamorato delle tradizioni napoletane e inconsapevole dei ‘drammi’ familiari, si fa portatore di quello che per Napoli rappresenta un contorno fondamentale della vigilia natalizia: la costruzione della grotta sacra di Gesù e quell’ostinata voglia di far apprezzare il capolavoro della sacralità a chi lo guarda. E’ così che vanno in scena i tre atti con i litigi tra padre e figlio per fargli “piacere o presepe”, il matrimonio finito della figlia e lo sconforto della madre che finge di non sapere per non dare un dispiacere a Lucariello fino a che la commedia diventa dramma con la presa di coscienza di una verità nascosta ed un finale che per sbaglio sarà la verità.
Eduardo non fa altro che raccontarci uno spaccato di vita napoletano, ed uno spaccato storico, poiché, come lui stesso ci racconta, sul finire del seicento, artigiani e religiosi napoletani erano soliti ‘primeggiare’ nel campo dell’”arte pura”: ognuno di loro si dava da fare per costruire il più bel presepe, divenuto oramai simbolo di culto e così vedremo gareggiare grandi scultori per definire suonatori di cornamusa e zampognari, mendicanti, lavandaie e tutti coloro che saranno definiti poi i pastori del presepe. Anche il re Carlo III e la regina Amalia furono a loro volta affascinati da quest’arte e dal culto di perfezionismo che ancora oggi regna, stimolando sempre più orafi, ceramisti, intagliatori a creare sculture sempre più raffinate…la stessa regina Amalia insieme alle donne di corte e con le monache di Santa Chiara, tesseva gli abiti dei pastorelli.
Lucariello non farà che incarnare la storia presepiale napoletana cercando nel figlio quell’ammirazione che ancora adesso a volte nei più giovani manca, e che spesso si apprezza troppo tardi.
Eduardo insegna.
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