L’operzione anti camorra svola dalla lady di ferro della direzione distrettuale antimafia di Napoli si sta rivelando un vero successo. Il gup non si è limitato ad arrestare capi clan e soldati ma anche alle mogli dei suddetti capi che in loro assenza avevano preso le redini delle attività. La notizia su Metropolisweb.it
Cinque secoli e «spiccioli» di carcere per i capi e i soldati dei tre clan in guerra per il controllo dell’affare-droga e del business-racket a Torre del Greco. Non si è smentita, la «lady di ferro» della direzione distrettuale antimafia di Napoli: davanti al gup Tullio Torello del tribunale di Napoli, il pubblico ministero Maria Di Mauro ha invocato una sfilza di durissime condanne per i 53 imputati al processo nato dal blitz «Goral» che a novembre del 2012 decapitò quattro clan, compresi i «marsigliesi» di Secondigliano. Non è bastato ai padrini della camorra all’ombra del Vesuvio – alla sbarra per rispondere a vario titolo di associazione di tipo mafioso, omicidio volontario, associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, estorsione, intestazione fittizia e trasferimento fraudolento di beni nonché riciclaggio – scegliere la formula del rito abbreviato per ottenere l’ambito sconto. Anzi. La requisitoria del pm ha fatto fermare gli anni di carcere a quota 523, con picchi di 20 anni e 18 anni per Massimo Zaffo – nipote di Gaetano Di Gioia, alias ‘o tappo, il boss massacrato in un agguato di camorra a maggio del 2009 – e Raimondo Amendola, il fiancheggiatore cresciuto all’ombra di Isidoro Di Gioia.
La mano pesante della «lady di ferro» non ha risparmiato le donne-boss dei tre clan, le camorristiche in gonnella che – in assenza dei mariti – guidavano gli eserciti di spacciatori e fiancheggiatori della colonna storica dei Falanga e degli emergenti del clan del tatuaggio e degli scissionisti del rione Sangennariello. Per Annamaria Carotenuto – alias ‘a stroscia, moglie del super-boss Giuseppe Falanga per cui sono stati chiesti 12 anni – il pm ha invocato una condanna a 12 anni di reclusione. Quattro anni in più, invece, la richiesta per le specialiste della droga di via Lamaria: Antonietta Di Rosa e Giovanna Di Rosa. Dieci gli anni di reclusione richiesti per la «regina delle palazzine» di Sant’Antonio, Anna De Blasio, parente del ras Francesco De Blasio (chiesta una pena di 9 anni) e del figlio Giuseppe De Blasio. Per l’ex astro nascente della Turris, passato poi nella «squadra» degli scissionisti di Sangennariello, il pm Maria Di Mauro ha chiesto nove anni di carcere. Meno severe, invece, le pene invocate per le donne-boss del clan del tatuaggio: 4 anni per Maria Lucia Gravino, 4 anni per Cira Ientile e 3 anni per Donatella Pernicola.
La «conversione» allo Stato, invece, non è servita all’esercito di pentiti per rintuzzare le richieste di condanna: il boss Isidoro Di Gioia si è visto richiedere nove anni di carcere, mentre Domenico Falanga rischia fino a tre anni in continuazione con precedenti reati. Nove gli anni per il primo collaboratore di giustizia Filippo Cuomo e addirittura 15 gli anni invocati per Maurizio Magliulo, alias mano mozza. Per l’ex pentito degli emergenti Silvano Scognamiglio chiesta, invece, una pena di 10 anni. Accanto alle richieste di condanna, il pubblico ministero della Dda di Napoli ha invocato la confisca dei beni finiti sotto sequestro e riconducibili ai vertici dei tre clan di Torre del Greco: Isidoro Di Gioia, Giuseppe Falanga, Ciro Grieco – richiesta la condanna a 18 anni di cella – Ciro Natale di Secondigliano, il killer Francesco Paolo Raiola e l’ex super-latitante Sebastiano Tutti.
Al termine della lunga requisitoria il gup ha aggiornato il processo a fine dicembre, quando i difensori dei primi imputati proveranno a smontare il castello accusatorio dell’antimafia. Un castello accusatorio da cui emergono con chiarezza i legami dei tre clan di Torre del Greco – i Falanga, i Di Gioia e gli scissionisti – con i narcotrafficanti del gruppo francese dei «marsigliesi» per l’approvvigionamento di cocaina e hascisc provenienti dalla Spagna nonché i collegamenti trasversali delle tre consorterie camorristiche con gli Amato-Pagano grazie alla «mediazione» del cosiddetto gruppo Bastone operativo nell’area nord di Napoli.
Gli unici a scegliere il rito ordinario sono stati Ciro Giannini – l’insospettabile imprenditore accusato di avere riciclato i soldi sporchi della camorra per beni mobili e immobili per circa 400.000 euro – e Giancarlo Giannini, mentre Pasquale Zaffo (assistito dall’avvocato Patrizia Magliulo) è stato prosciolto.