Continuando a passeggiare per la città di Napoli prosegue la nostra ricerca dell’architettura in disuso. E’una ricerca spontanea, non calcolata. Anche perché gli episodi si susseguono e si propongono ai nostri occhi all’improvviso, come ad esempio, poco prima di sostare ad un semaforo del tratto finale di via Marina.
In quel tratto di strada a traffico veicolare alquanto scorrevole appare una chiesa, ad una quota inferiore rispetto all’asse stradale, avulsa, verticalmente ed orizzontalmente, dal resto del tessuto urbano, in evidenza proprio per il suo essere “insula spartitraffico”. Chiusa, misteriosa, intrigante, dal prospetto dall’apparato settecentesco. E’ la chiesa di Santa Maria di Portosalvo
E’ molto interessante conoscerne la storia perché legata ad una serie di stravolgimenti urbanistici che, molto probabilmente, in qualche modo, ne determinano il suo attuale stato di disuso. Essa sorgeva su un antico largo, denominato il Mandracchio, caratterizzato da un piccolo bacino d’acqua, detto Molo Piccolo, intorno al quale erano sistemati la dogana ed i magazzini per le merci. A metà del XVIII secolo, sotto il regno di Carlo di Borbone, l’area fu sistemata con la costruzione di un ponte che congiungeva (le attuali) via Marina con via Cristoforo Colombo, fino a giungere al palazzo dell’Immacolatella (opera di Domenico Antonio Vaccaro architetto), dall’altra parte del bacino. Si gettarono dunque le basi per la lenta e graduale eliminazione del largo del Mandracchio, caratterizzato al centro dalla forte presenza della chiesa di Santa Maria di Portosalvo. A partire dal Risanamento e poi, dopo tutte le vicissitudini belliche del secolo scorso, la definitiva modifica dell’area, con la colmata del porticciolo e la definizione di un assetto urbanistico che vuole oggi la chiesa essere un elemento al centro dell’attenzione, si, ma solo perché il traffico veicolare vi transita intorno, rappresentando una sorta di “architettura irraggiungibile”, per il fatto stesso di esser separata dalla città da strade carrabili a scorrimento “veloce”.
La costruzione dell’opera risale alla metà del XVI secolo, per volontà di un marinaio (tale Bernardino Belladonna), scampato ad un nubifragio, di ringraziare la Madonna: successivamente fu fondata una congrega che volle fortemente edificare una chiesa (anni 1554 – 1564) come atto di ringraziamento. Da quell’episodio in poi, fino agli anni Settanta del Novecento fu organizzata una gran festa in cui si portava in processione sul mare la statua lignea seicentesca dell’Immacolata, conservata in una delle cappelle. A questi anni risale, probabilmente, l’ultimo utilizzo della chiesa, oggi chiusa e stante in stato di abbandono e degrado. A quanto pare, qualche anno fa, fu oggetto di un intervento di pulitura superficiale e, attualmente, non è ancora fruibile.
Pur essendo nata in epoca tardo rinascimentale, la chiesa ha subito, nel corso dei secoli, modifiche all’apparato decorativo, sposando l’ultima fase dello stile barocco – rococò del XVII secolo, già tendente ad un’accentuata presenza di elementi classicheggianti, attraverso ricercate ornamentazioni in stucco sul prospetto, opera di Nicola Scodes su progetto di Giuseppe Astarita. Interessante anche l’inserimento dell’orologio nel secondo ordine, a coronamento della composizione, che si raccorda, attraverso una coppia di volute, alla cornice ed alle paraste sottostanti. Accanto svetta un campanile di modeste dimensioni, dai cantonali in piperno e sormontato da un cupolino di copertura rivestito con embrici policromi in maiolica.
Tutta la facciata, molto elaborata, meriterebbe un’attenzione particolare, partendo ad esempio dal portale, a bugne piatte in piperno, sovrastato dall’arco della lunetta, e con la presenza nel timpano di un rilievo seicentesco della Madonna di Portosalvo. L’ultimo effettivo restauro, negli anni settanta del Novecento, ha comportato l’eliminazione di alcune aggiunte che celavano il basamento bugnato. Il volume addossato al campanile ospita la sede della congregazione, realizzata nel 1749 dal Cuomo, dalle facciate impreziosite da decorazioni in stucco e recentemente ripulite. All’esterno la presenza di una guglia in piperno e marmo (attualmente puntellata), innalzata dai sostenitori borbonici per la commemorazione della vittoria realista sulla Repubblica Partenopea del 1799, e la Fontana cinquecentesca della Maruzza (la lumaca), caratterizzano una porzione di tessuto urbano, risultante dal lavoro di riassetto, adibita a spazio verde. Anche gli interni sono meritevoli di descrizione: unica navata, con due cappelle laterali, una su lato, caratterizzata da rivestimenti in marmi policromi, dal particolare soffitto ligneo dorato e con la presenza di quadri di notevole fattura, opera di artisti noti locali, quali la Gloria della Vergine di Battistello Caracciolo. La facciata dell’edificio addossato e il prospetto della chiesa come si presenta oggi.
Al di la di ogni descrizione sull’indiscusso valore storico – artistico dell’architettura di Santa Maria di Portosalvo sarebbe interessante parlare in termini di valutazione sull’effettivo recupero del complesso e porsi alcune domande: quanto l’urbanistica incide sul suo abbandono e isolamento, non solo fisico, ma anche sociale?
E, data l’evidente situazione, in che modo si può pensare di realizzare un vero progetto di Restauro della chiesa, senza intralciare e revisionare nuovamente l’assetto urbanistico?
Se cosi non avvenisse, è da chiedersi, provocatoriamente, vale ancora la pena restaurarla? Al momento non ci resta che passare in auto là accanto e al semaforo restare, puntuali, in silenzio a contemplare la bellezza, fra le innumerevoli, nella città di Napoli, di un’architettura che emana tristezza e, in cuor suo, confida un giorno, di riappropriarsi del valore e dell’identità, riaprendo i suoi spazi a chiunque voglia fruirne.
Questo articolo fa parte della rubrica sulle Chiese di Napoli .”Napoli, la città delle 500 cupole”.