Fortunato, il tarallaro che ispirò Pino Daniele

Fortunato


I taralli ‘nzogna e pepe sono una delle ricette più caratteristiche di Napoli. Una prelibatezza senza tempo, povera, veloce e fin troppo comoda da mangiare, che tutt’oggi non può mancare come accompagnamento di un abbondante antipasto o di un aperitivo fra amici. Come spesso succede nella nostra terra, determinate tradizioni, specialmente se culinarie, sono legate a personaggi unici, divenuti per il loro carattere, il simbolo della tradizione stessa. Moltissime pietanze napoletane, si sa, venivano spesso vendute da ambulanti che percorrevano i vicoli stretti con i loro carretti, lo stesso caffè si diffuse in questo modo e ovviamente i pratici taralli, che si prestano così facilmente ad essere mangiati per strada, non erano da meno.

Taralli napoletani

I “tarallari” giravano per Napoli con i carretti carichi di taralli tenuti al caldo, vendendoli ai ragazzi che bazzicavano per le strade o alle casalinghe che prontamente calavano il paniere al loro passaggio. Fortunato era l’ultimo, mitico esponente della lunga tradizione di questi venditori e, fino alla fine degli anni ’80, quando ormai era diventato troppo vecchio e malato per continuare a lavorare, la sua voce riecheggiava in tutti i quartieri e, da sola, bastava a far venire l’acquolina in bocca.

Andava in giro con un semplice passeggino in cui raccoglieva le sue “creature”, sempre coperte da un drappo di lana per rimanere calde e pronte da gustare; avanti al mezzo di fortuna un cartello “LA DITTA FORTUNATO RESTA CHIUSO IL LUNEDì”. Fortunato davvero era una vera e propria ditta racchiusa in una sola persona: lui cucinava i taralli, lui li metteva in commercio e lui li pubblicizzava urlando “Fortunato tene a rrobba bella! ‘Nzogna ‘nzogn”. Una frase ormai diventata storia che ha persino ispirato Pino Daniele a scrivere una canzone dal titolo “Fortunato”. L’ultimo baluardo di un modo di vendere e mangiare diverso, un uomo sempre sorridente che ricordava a memoria i nomi delle sue affezionate clienti, che chiamava per farle affacciare, che mostrava tutto l’amore per la sua “ditta”, nascondendo la fatica degli anni, il peso del passeggino carico e di una vita sacrificata per diffondere i suoi unici taralli.


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