Totò, principe dei trovatelli: “Il cane è ‘nu signore, tutto il contrario dell’uomo”
Gen 30, 2016 - Domenico Ascione
Totò e Dik
Tutti i napoletani sanno che Totò, oltre ad essere il genio che tutti conoscono, è stato anche un filantropo, sempre pronto ad aiutare chiunque avesse bisogno o, semplicemente, bussasse alla sua porta. Non tutti, invece, sanno del suo immenso amore per gli animali, che considerava come dei “cristiani”. Adorava particolarmente i gatti, ma non riuscì mai ad affezionarsene perchè troppo restii ai rapporti con gli esseri umani e, quindi, dedicò l’intera sua vita a proteggere ed accudire cani di ogni tipo. Le testimonianze di questo particolare legame sono state raccolte e pubblicate da Vittorio Paliotti nel libro “Totò, Principe del Sorriso“.
La primissima poesia mai scritta dal poeta Totò fu dedicata proprio al suo cane, un barboncino di nome Dik. Nella dolcissima opera il principe Antonio de Curtis si chiedeva cosa avesse fatto se avesse perso l’adorato cane…ed, in qualche modo, la poesia si rivelò profetica: nel 1950, durante le riprese a Roma di “Totò cerca moglie”, l’attore perse Dik mentre lo portava a passeggio ai Parioli. Come raccontò, poi, il cugino e segretario Eduardo Clemente: “Affranto, anzi avvilito, mi incaricò di far stampare e affiggere, in parecchie strade dei Parioli, dei manifesti attraverso i quali si prometteva una ricompensa di 10.000 lire a chi avesse riportato il barboncino smarrito. Ricordo che bussarono alla casa di Totò, in via Bruno Buozzi, non meno di dodici persone con altrettanti cagnolini. Totò volle dare una mancia a tutti, anche a coloro che, palesemente, si erano presentati solo con l’intento di scroccare qualcosa. Cinque giorni dopo, Dik ritornò spontaneamente a casa. Appariva smunto e affaticato. Totò piangeva, quando lo riabbracciò. E Dik scuoteva la coda”
Forse, però, il cane che il Principe amò maggiormente fu il bastardino Mosè. Totò assistette mentre un’auto investiva il povero animale, privandolo dell’uso delle zampe anteriori, e decise immediatamente di prenderlo e portarlo dal miglior veterinario del tempo, il dottor Mascia, che in seguito descrisse quell’incredibile rapporto: “Dopo oltre un mese di medicazioni e di cure potei comunicare a Totò che Mosé era da considerarsi salvo. Accarezzò il cane e parve infinitamente felice. Poi ebbe uno scatto: “Dottore, io voglio che Mosé cammini. Dottore, vedete di fare qualcosa”. Pensai allora di rivolgermi all’istituto ortopedico dell’università di Roma. Due tecnici dell’università ebbero l’idea di costruire una protesi a rotelle che venne applicata, con delle cinghie, al corpo del cane. Quando vide Mosé camminare, Totò volle abbracciarmi. Piangeva”. La foto di Mosè con l’avanzatissima protesi fece il giro del mondo ed attirò sull’attore le critiche di chi non aveva gradito tante attenzioni per un solo animale, mentre le persone vivevano senza gambe.
Dal 1960 al giorno della sua morte, nell’aprile del 1967, Totò costruì e gestì, insieme al dottor Mascia e ad altri cinque assistenti, un “Ospizio dei trovatelli” che arrivò ad ospitare anche 256 cani randagi ed abbandonati. Purtroppo, però, alla morte dell’attore mancarono le risorse economiche per mandare avanti un’attività così dispendiosa, ma, prima di morire, l’attore aveva strappato al cugino la promessa di garantire un futuro ai suoi trovatelli. Così, Eduardo Clemente si vide costretto a smistare personalmente i 30 cani rimasti nell’ospizio nelle case di persone di buona volontà e, persino, ad adottare, insieme al veterinario, gli ultimi quattro cani, disdegnati da tutti perchè troppo malandati. Mosè, invece, morì un mese prima del padrone e fu l’ultimo grande lutto del Principe della generosità. In un’intervista fatta da Oriana Fallaci dichiarò: “Il cane è nu signore, tutto il contrario dell’ uomo“.