Una vera e propria Napoli sommersa quella portata alla luce grazie ad una mappatura geo-archeologica della costa. Si tratta di quella che un tempo rappresentava la terraferma, e che oggi è possibile ritrovare negli abissi più profondi del nostro mare. E’ grazie a delle immersioni subacquee che un team di archeologi napoletani ha potuto compiere uno studio approfondito sul tratto di costa che accoglie il golfo tirrenico, da Monte di Procida, a Punta Campanella. Ed è grazie a queste stesse immersioni che è stato possibile rilevare la presenza di tre gallerie, caratterizzate da 4-5 metri di lunghezza, e larghe poco più di un metro. Le gallerie si troverebbero a circa tre metri di profondità, lungo il lato occidentale di Castel dell’Ovo, sorto sull’isolotto di Megaride. E’ proprio lì su quell’isola, secondo un antico mito, già noto in Grecia orientale, che Napoli ebbe origine, dopo che vi fu sepolto il corpo della sirena Parthenope, trasportato dal mare in quella zona, in seguito al rifiuto di Ulisse.
L’ipotesi principale, è che le gallerie riscoperte servissero per il trasporto di pozzolana estratta in situ. Impegnato nello studio della costa è l’archeologo Filippo Avilia, che spiega a L’espresso il perchè di quest’ipotesi, approfondendo la struttura delle gallerie: “Queste gallerie, finora ignote, si trovano su un fondale che va dai cinque ai sette metri di profondità e, quindi, collegavano le due quote del dislivello. Hanno un taglio trapezoidale, come quello che si ritrova in tutti i banchi di tufo presenti a Posillipo, definiti genericamente di epoca greca ma utilizzati anche successivamente. Di qui la datazione ancora incerta, perché potrebbero appartenere a cave greche, ma essere state sfruttate pure in età romana visto il grande utilizzo della pozzolana attestato in tale periodo. La cresta di tufo è attraversata da queste gallerie. Ciò significa che la cresta era un ostacolo da attraversare non da sfruttare, altrimenti sarebbe scomparsa anch’essa, perciò ipotizziamo che il trasporto fosse di pozzolana”.
Un lavoro volontario che va avanti da circa quattro anni quello svolto grazie ad un accordo tra il ministero dei Beni culturali, la Soprintendenza Archeologica della Campania, e Marenostrum Archeoclub d’Italia e che punta alla mappatura geo-archeologica della costa napoletana attraverso delle immersioni organizzate il sabato e la domenica, e che non prevedono la presenza di sponsor, tranne il ristretto sostegno finanziario della società di servizi Elleesseitalia. Si tratta di un lavoro volto a comprendere non soltanto i cambiamenti geologici del passato, ma anche quelli che potrebbero essere eventuali mutamenti per il futuro. Quelli, ad esempio, legati a fattori climatici che provocano l’innalzamento del mare, o quelli legati a fenomeni eustatici. C’è bisogno di un monitoraggio continuo, secondo anche quanto dichiara a L’espresso il geologo Rosario Santanastasio: “Ovviamente, anche sui fondali di Castel dell’Ovo, l’azione erosiva del moto ondoso incide molto sulla conservazione dei luoghi, ma il rischio riguarda anche la loro scarsa salvaguardia perché soggetti a forte antropizzazione. C’è poca attenzione perché poco conosciuti, e viceversa. E così la perdita della memoria favorisce la conseguente perdita della storia e delle sue testimonianze.”
Per continuare le ricerche, comunque, è necessario un ulteriore finanziamento di circa ventimila euro. Il lavoro continuerà in ogni caso, per scoprire se più giù, in profondità, si nasconde l’antica linea di costa.