Esattamente 15 anni fa, il 4 settembre del 2006, un efferato omicidio bagnò le strade di Napoli col sangue di un innocente. Un caso che non rientra nei crimini di camorra, non ha riguardato persone note, non è avvenuto durante una manifestazione importante: la morte di Salvatore Buglione va ricordata come una storia di criminalità quotidiana, di una delinquenza diffusa che distrugge intere famiglie, che semina dolore e disperazione pur senza titoloni e nomi altisonanti.
Salvatore Buglione, detto “Sasà”, era un semplice dipendente comunale, incensurato, senza nessun rapporto ambiguo e situazioni losche alle spalle, “soltanto” un uomo onesto. Dopo il lavoro si recava sempre all’edicola gestita dalla moglie in via Pietro Castellino, a Napoli, per farle compagnia fino alla chiusura e proteggerla da eventuali aggressioni e rapine in cui una donna sola avrebbe potuto incorrere. Anche quella tragica sera era lì. Erano le 20 e 30 ed i coniugi erano intenti alla chiusura dell’esercizio e si stavano preparando a tornare alla loro dimora sul litorale domizio, quando la tanto temuta rapina avvenne.
Quattro giovani di età compresa fra i 17 ed i 25 anni, probabilmente sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, iniziarono a minacciare l’uomo con un coltello chiedendogli l’incasso della giornata. Salvatore aveva addosso mille euro frutto del lavoro di sua moglie e voleva lasciarseli portar via così facilmente. Una ribellione che non piacque ai rapinatori che iniziarono a picchiarlo in branco sui giornali della sua cara edicola. Poi qualcuno affondò il coltello, un colpo secco nell’addome, diritto fino al cuore. Salvatore Buglione morì sul colpo lasciando la moglie, una figlia iscritta all’università ed un figlio adolescente. (fonte Associazione Nazionale Legalità e Giustizia).
Il fatto, al tempo, scatenò l’opinione pubblica, specialmente fra i giovani stanchi di dover vivere in una città dove chi si ribellava ai soprusi veniva ucciso senza pietà: Salvatore divenne il simbolo di chi sceglie di alzare la testa, di lottare per quel poco che riesce a guadagnare onestamente e lo difende fino alla fine. Nelle indagini che seguirono furono fermati i quattro giovani criminali. Fra questi, Domenico D’Andre, detto “Pippotto” e con una carriera criminale sulle spalle con più precedenti dei suoi anni di vita. Secondo i giudici fu proprio lui a sferrare il colpo mortale ed, infatti, è attualmente in carcere colpevole di omicidio. (Napoli, il delitto dell’edicolante fermati i quattro presunti killer – Repubblica.it – 17 settembre 2006)
Come se non bastasse, i problemi con la criminalità della famiglia Buglione non cessarono. Soltanto due anni dopo la tragica rapina, un altro rapinatore, col volto coperto da un casco, si presentò all’edicola minacciando la vedova. Fortunatamente, però, come racconta il Metropolis del tempo, la donna reagì prontamente e mise in fuga sia l’aggressore che il complice in sella ad un ciclomotore, per poi allertare subito la polizia e denunciare l’accaduto. Forse, almeno in quella circostanza, il sacrificio eroico di Salvatore Buglione non fu vano.