La verità sulla Repubblica Napoletana del 1799. I francesi occuparono o liberarono Napoli?


Molto si è discusso sulla Repubblica Napoletana del 1799. In pochi però sono stati in grado di andare oltre le apparenze e di vincere le correnti particolari nelle quali la storiografia inevitabilmente frange i propri flutti. Molti hanno rimpianto il sogno repubblicano, incolpando Ferdinando IV di Borbone per le condanne a morte di 124 repubblicani, senza vedere effettivamente chi ci fosse dietro questa decisione. È giusto quindi soffermarsi sui retroscena meno noti che hanno determinato la fine della repubblica e la restaurazione della dinastia borbonica.

È indispensabile, a questo punto, fare due premesse. In primis dobbiamo considerare il 1793 come un anno di svolta nei rapporti tra Napoli e Parigi. Il 16 ottobre di quell’anno la regina di Francia, Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena, venne ghigliottinata per mano dei giacobini. Questo gesto di estrema violenza rappresentava un attentato a tutte le monarchie d’Europa, e in particolare a quella napoletana poiché la regina di Napoli, Maria Carolina, era sorella della malcapitata regina francese. Fu così che Maria Carolina sviluppò un odio profondo verso tutto ciò che fosse assimilabile alla rivoluzione ed al movimento giacobino. Impossibile poi non richiamare l’attenzione sulla fastidiosissima presenza inglese in una realtà come quella del Mediterraneo. Fu, infatti, nelle sue vesti di alleato della corona napoletana che l’ammiraglio Horatio Nelson ricoprì un ruolo decisivo circa l’epilogo funereo della repubblica.

Dal 1798 la discesa delle truppe francesi nello stivale divenne sempre più rapida e proficua. La contesa tra l’armata partenopea e quella francese, guidata dal generale Jean Étienne Championnet, si risolse a favore di quest’ultima. Napoli era ormai alla mercé del Direttorio. Rapida però fu la risposta della popolazione che, rimasta fedele alla causa borbonica, non esitò a misurarsi con l’esercito straniero. Si ebbe un vero e proprio massacro, i morti tra gli antirepubblicani furono più di tremila.

La repubblica venne proclamata il 23 gennaio del 1799. Fin da subito però, la vita del neonato governo risultò molto difficile e presentò alcuni limiti e contraddizioni che alla lunga si rivelarono insanabili. Come detto, essa non poteva contare sull’appoggio del popolo. In seconda battuta, nonostante tra le sue fila comparissero alcune tra le menti più brillanti del panorama culturale napoletano, queste rimasero isolate nelle loro convinzioni eccessivamente dottrinali. Il desiderio di creare quello che sulla carta doveva essere uno “stato ideale” li distolse dalla realtà dei fatti. Quest’atteggiamento rese i repubblicani incapaci di rispondere alle esigenze della Nazione. Ma paradossalmente il problema più grave col quale si dovette fare i conti fu un altro: la limitatissima autonomia del governo democratico. La sua stessa esistenza venne paralizzata da Championnet, che si comportava da autentico dittatore, e dalle difficoltà economiche dovute al mantenimento dell’esercito francese sul territorio, sempre pronto ad abbattere tutti gli oppositori del nuovo regime. Pene di morte e processi sommari erano, infatti, all’ordine del giorno.

Si pensi che Pietro Colletta, storico contemporaneo ai fatti e tutt’altro che filoborbonico, nel suo testo “La storia del reame di Napoli dal 1734 al 1825” riportò un decreto che considerava: «patrimonio della Francia i beni della corona di Napoli, i palazzi, le regge, i beni dei monasteri, i feudi allodiali, le banche, la fabbrica delle porcellane, le anticaglie ancora nascoste nel seno di Pompei e di Ercolano».

Il partito borbonico non restò inerme dinanzi a questi eventi e fu il cardinale Fabrizio Ruffo di Calabria ad organizzare la controffensiva. Con il suo esercito di popolani riuscì a vincere le resistenze repubblicane e spianò la strada per il rientro a Napoli dei legittimi sovrani, accolti con entusiasmo dalla popolazione. Il cardinale per evitare inutili spargimenti di sangue assicurò la salvezza ai repubblicani a patto che questi abbandonassero per sempre lo stato borbonico. Nelson, che poteva vantare una certa influenza sullo sprovveduto Ferdinando IV, non rispettò l’accordo e fece arrestare gli antimonarchici. La situazione precipitò nuovamente. La cattiva influenza di Nelson, e la tumultuosità che contraddistinse gli eventi, fecero maturare nel cuore del re la convinzione che il tutto dovesse risolversi con l’utilizzo della forza e fu così che la Repubblica Napoletana concluse la propria parabola nel bagno di sangue che tutti conosciamo.

Con questo non si vuole certamente giustificare l’operato di un sovrano che ebbe le sue colpe, anzi è giusto condannare l’epilogo violento della repubblica. È opportuno sottolineare, però, come non solo la pena di morte fosse la prassi dell’epoca, ma che in quel caso specifico il monarca volle colpire con la massima punizione coloro i quali si erano macchiati del reato più grave: quello di alto tradimento. Non dobbiamo quindi giudicare gli eventi del passato con gli occhi rivolti al presente, ma è nostro compito calare i suddetti fatti nella realtà e nelle circostanze che li hanno generati. Allo stesso modo è sacrosanto mostrare le incongruenze e i limiti della Repubblica Napoletana che abbracciò certamente gli alti ideali di libertà uguaglianza e fratellanza, ma non esitò a mettersi nelle mani dei Francesi che sfruttarono l’occasione per soddisfare la propria sete di conquista e di ricchezza. Dobbiamo dunque considerare il rientro dei Borbone a Napoli come un atto giusto dato che, oltre a ricollocare i legittimi sovrani sul proprio trono, restituì a Napoli e al Regno tutto indipendenza ed autonomia politica; elementi indispensabili dei quali, nei sei mesi di repubblica, si persero le tracce.

Fonti:
– Vincenzo Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799.
– Camillo Albanese, Cronache di una rivoluzione: Napoli 1799.
– Pietro Colletta, La storia del reame di Napoli dal 1734 al 1825.
– Benedetto Croce, La rivoluzione napoletana del 1799. Biografie, racconti e ricerche.


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