I tumori esistevano già 500 anni fa: lo “dicono” le mummie conservate a Napoli
Ott 03, 2017 - Redazione
Napoli – La scienza medica ha, spesso, definito i tumori come una malattia moderna, causata principalmente da stili di vita sbagliati e dall’inquinamento. Lo studio delle mummie aragonesi, naturali ed artificiali, della Basilica di S. Domenico Maggiore a Napoli, condotto dalla Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, sembra aggiungere qualcosa a questa teoria.
Le prime indagini sui resti ci hanno fornito informazioni sulle tecniche di imbalsamazione di Età Rinascimentale ed ha permesso la diagnosi di tre casi di malattia infettiva (vaiolo, sifilide venerea, condiloma) e di due casi di patologia neoplastica (carcinoma cutaneo ed adenocarcinoma). La mummia di un bambino, risalente al sedicesimo secolo, manifestava un diffuso esantema pieno di vesciche e pustole, chiaro indizio che il piccolo sia morto per il vaiolo.
La scoperta più importante, però, è stata fatta su tre cadaveri di età compresa fra i 55 ed i 70 anni. Tutti e tre hanno manifestato un tumore cutaneo: il duca Ferdinando Orsini di Gravina ne aveva uno al volto; sulla mummia del re Ferrante I d’Aragona, invece, è stato rilevato un adenocarcinoma avanzato nel retto; mentre il principe Luigi Carafa di Stigliano ne aveva uno al colon.
Ci troviamo pertanto di fronte ad una percentuale di patologia neoplastica maligna assai simile all’attuale (18,8%), sia pure nell’ambito dell’esigua casistica disponibile. Occorre puntualizzare però che, almeno per quanto concerne il re Ferrante, erano certamente presenti alcuni fattori “ambientali”, come una alimentazione molto ricca in zuccheri, in grassi e in proteine di origine animale, caratteristica di questa classe elevata del Rinascimento.
In conclusione, l’“ambiente” alimentare della corte napoletana del XV secolo giustifica ampiamente, con la sua abbondanza di mutageni naturali endogeni, la mutazione del gene alla base del tumore che uccise il sovrano aragonese oltre cinque secoli orsono. La scoperta dimostrò che era possibile mettere in evidenza sequenze di oncogeni nei tumori antichi e aprì nuove strade, inimmaginabili solo pochi anni fa, alla diagnostica paleopatologica delle neoplasie.
Qui il resoconto completo delle analisi: paleopatologia.it