Napoli – Chiunque percorra la centralissima Piazza Dante non può fare a meno di posare gli occhi sul mastodontico edificio che la sovrasta. Si tratta del Convitto “Vittorio Emanuele II” e, nonostante il nome sabaudo, ha origini antichissime. Il nucleo dell’edificio era, in principio, il Convento di S. Sebastiano: un complesso religioso fondato in epoca costantiniana da monaci di culto basiliano.
Nel 1424, la regina Giovanna II vi trasferì le monache domenicane di S. Pietro a Castello. Fu da questo momento che la struttura iniziò ad assumere la fisionomia attuale con numerosi lavori di ampliamento e di abbellimento. Fra il XV ed il XVI secolo il Convento venne ampliato a nord, con la realizzazione del chiostro grande in stile rinascimentale, mentre all’inizio del XVII secolo le suore avviarono la costruzione in forme barocche della nuova chiesa.
Tra il 1757 e il 1763, in aderenza alle mura occidentali del convento, venne realizzato l’intervento vanvitelliano del Foro Carolino: la struttura che ancora oggi costeggia Piazza Dante e le dà il suo aspetto attuale. Quando, nel 1807, le monache vennero espulse, il complesso venne utilizzato per scopi differenti: nel 1820 ospitò la Camera del Parlamento, quindi divenne sede del Conservatorio di Musica e, successivamente, delle scuole pubbliche istituite dai Gesuiti.
Nel 1827, l’istituto gesuitico prese il nome di Collegio dei Nobili, ma ebbe vita breve. Quando Giuseppe Garibaldi entrò a Napoli occupando la città in nome dell’Italia Unita, abolì l’ordine dei Gesuiti e dichiarò nazionali i suoi beni. Fu così che l’anno successivo il Collegio dei Nobili divenne il Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II, nome con cui è ancora oggi conosciuto.
Ancora oggi la struttura continua la missione che aveva al tempo dei gesuiti: il Convitto è una comunità educativa che ospita studenti italiani e stranieri in qualità di convittori e semiconvittori