“Quasi alla chetichella, per così dire in punta di piedi, dalla sera alla mattina, e senza che nessun organo d’informazione ne abbia fatto un minimo cenno, nei giorni scorsi ha definitivamente abbassato le saracinesche un’altra libreria del Vomero – annuncia Gennaro Capodanno, presidente del Comitato Valori collinari, da sempre attento ai mutamenti del settore commerciale del popoloso quartiere. Dopo la chiusura delle librerie Guida e Loffredo e del reparto editoriale dell’ex FNAC, dall’inizio di questo mese al Vomero è scomparsa anche la libreria Aricò, in via Merliani, 122”.
“Solo due volantini affissi ai lati della saracinesca, per annunciare il trasferimento in un’altra sede, nei pressi della stazione Museo del metrò – sottolinea Capodanno. Eppure si trattava di un’apertura abbastanza recente, avvenuta a fine agosto dell’anno 2014, meno di quattro anni fa. L’inaugurazione fu salutata con grande enfasi, anche perché il nuovo esercizio andava ad occupare una parte dei locali che, per lustri, avevano ospitato la libreria Guida Merliani, la quale, a sua volta, aveva abbassato le saracinesche nel gennaio del 2012 a seguito delle note vicende”.
“In questo caso di certo non c’entra nulla il tanto vituperato, ma sovente impropriamente chiamato in causa, caro affitti dal momento che si tratta di un contratto che, dopo meno di quattro anni, non poteva essere certo in scadenza – aggiunge Capodanno. Le cause della scelta di abbandonare il locale vomerese potrebbero essere piuttosto ricercate nella crisi che attraversa il settore librario e, più in generale quello della cultura”.
“Invece al Vomero, dove un tempo sorgevano le più note e belle librerie della Città e dove ai tavoli dei ristoranti, come la trattoria Sica, anch’essa scomparsa, uomini di cultura e artisti s’incontravano e discutevano e qualcuno lasciava versi immortali scritti su un tovagliolo di carta, negli ultimi tempi, si continuano ad aprire attività commerciali che si occupano della somministrazione di cibi e bevande, al punto che il quartiere collinare appare sempre più simile a un unico grande fast food all’aperto, piuttosto che recuperare luoghi di cultura e di aggregazione sociale”.