Il maestro, scomparso all’età di 90 anni, in una lunga intervista rilasciata a Repubblica, ha analizzato in modo lucido (e con l’immancabile vena filosofica che lo ha sempre contraddistinto) diversi temi che riguardano la “sua” Napoli, come la “nuova camorra” dei giovani o la fuga dei cervelli.
Con Napoli, dichiara di avere un “rapporto viscerale” che non sempre gli permette di “essere obiettivo“, ma di una cosa è sicuro: “Napoli è più forte dei suoi abitanti, può cadere ma si rialza sempre“. “In questo mondo in cui il progresso sembra prendere il sopravvento su tutto, in cui le città sono sempre più simili le une alle altre – continua De Crescenzo – Napoli è l’unico luogo che riesce a mantenere intatta la propria identità. Una copia di Napoli non potrà mai esistere, per questo è l’ultima speranza che abbiamo“.
Poi, arriva il significativo passaggio sui giovani, molti dei quali (purtroppo) protagonisti della malavita, ma anche in questo caso De Crescenzo riesce a trovare solo parole di speranza: “Io credo la camorra si possa battere. Si dovrebbe investire sull’istruzione e dimostrare alle nuove generazioni che intraprendere la strada della legalità è più conveniente rispetto a quella dell’illegalità“.
L’istruzione, appunto, l’unica strada da seguire per i giovani, per affermarsi: “Studiare, informarsi, investire sulla propria formazione, mettersi alla prova anche in ambiti che mai avrebbero immaginato, purché siano legali. A volte per imboccare la strada del proprio destino è sufficiente incamminarsi per percorsi inaspettati, come è accaduto a me. Chi lo avrebbe mai detto che sarei diventato scrittore?“.
De Crescenzo, con i suoi lavori, ha sempre cercato di mostrare il bello di Napoli, con tutte le sue tante contraddizioni, denunciando in maniera “gentile” anche i tanti soprusi che l’hanno colpita nel corso del tempo. Infatti, nel parlare di razzismo (piaga che oggi si abbatte sull’Italia) dice: “Non credo che l’Italia sia un Paese razzista. Detto questo, una certa intolleranza è sempre esistita. Fino a qualche anno fa era indirizzata ai meridionali che si trasferivano al Nord per cercare lavoro. Oggi invece, è indirizzata a chi è costretto a lasciare il proprio Paese a causa di guerre e crisi economiche. Passano gli anni, ma il problema resta sempre lo stesso: la mancanza di empatia. Se solo provassimo a metterci nei panni di queste persone, a capire cosa li spinge ad abbandonare la propria terra e i propri cari, forse, e sottolineo forse, anziché travolti dall’odio ci ritroveremmo carichi di compassione“.
Proprio uno dei suoi lavori più illustri, il film “Così parlò Bellavista“, dopo 34 anni è stato messo in scena a teatro. Il debutto è avvenuto ieri sera al Teatro San Carlo, con la regia di Geppy Gleijeses, che nella pellicola del 1984 interpretava il giovane Giorgio. Sul palco, oltre allo stesso Gleijeses nel ruolo del professor Bellavista, Marisa Laurito, Benedetto Casillo, Nunzia Schiano, Salvatore Misticone, Vittorio Ciorcalo, Patrizia Capuano e Gianluca Ferrato.
“Mi sono sentito come un padre che vede suo figlio crescere e andare via da casa. È vero, la maggior parte del cast è cambiato, eppure, sarà stata la presenza di Benedetto e di Geppy che hanno già recitato nel film, e quella di Marisa che considero parte della mia famiglia, ma per un attimo mi è sembrato di essere di nuovo lì, tra le scale di Palazzo Ruffo, e rivivere le stesse emozioni provate durante le riprese del film“. Queste parole di De Crescenzo nel commentare il gradito omaggio.
Nato a Santa Lucia, per De Crescenzo nella bacheca tanti riconoscimenti come scrittore, attore, regista, lui che è stato anche ingegnere. Un napoletano vero, che oggi però vive lontano, a Roma, ma considera Napoli come “uno stato d’animo, quindi è sempre con me“. Un uomo di cultura, un uomo saggio, che a 90 anni dice “avere progetti per il presente mi sembra già una fortuna“.