NAPOLI – La città si mobilita per l’Ospedale degli Incurabili. Attraverso la sua pagina Facebook, lo scrittore napoletano Angelo Forgione ha lanciato l’hashtag #CuriamoGliIncurabili per sensibilizzare sul crollo dello storico ospedale napoletano.
L’hashtag è accompagnato da un video al quale hanno partecipato il Direttore del Museo Arti Sanitarie – Ospedale degli Incurabili Gennaro Rispoli, l’attore Patrizio Rispo, lo scrittore Pino Aprile e il presidente del Movimento Neoborbonico Gennaro De Crescenzo.
Dichiara Forgione: «Il complesso degli Incurabili crolla per cedimento strutturale causato da abusivismo sottostante (un garage), e ha bisogno di cure. Oltre alle testimonianze artistiche nella chiesa di Santa Maria del Popolo, vanno messi al sicuro i preziosi manufatti conservati nell’antica spezieria, la settecentesca farmacia. Nella scaffalatura in noce, 427 vasi in maiolica con le stesse cromie del pavimento, tutto realizzato dai fratelli Giuseppe e Donato Massa, i più grandi “maestri riggiolari” napoletani, gli artefici del bellissimo Chiostro delle Clarisse di Santa Chiara, chiamati a ripetersi per la spezieria, che doveva essere bella, bellissima, per rappresentare il prestigio di un antico ospedale di eccellenza nell’Europa del Settecento. Nessuna ricostruzione o assemblaggio museale. Si tratta di un luogo rimasto identico a come è nato, sopravvissuto integro, così come fu pensato. Bisogna dunque salvare una delle più importanti testimonianze del tardo-barocco di Napoli (insieme alla Cappella San Severo), e preservarne la continuità storica nella Napoli del futuro. I napoletani restino vigili!».
Il video è impreziosito dal messaggio di speranza del direttore dell’Ospedale degli Incurabili Gennaro Rispoli: «Sentiamo che l’Ospedale è ferito, però non bisogna perdere la speranza perché al di là della sofferenza delle persone allontanate o dei colleghi che sono stati trasferiti presso altri ospedali insieme agli ammalati, bisogna che qualcuno resti qui nell’Ospedale degli Incurabili a mantenere la fiaccola, perché ci sia la speranza e si lanci un grido di dolore».