Sono tanti i napoletani che a sentir parlare di gentrificazione storcono il naso. Secondo il vocabolario Treccani, il termine indica “la riqualificazione di zone o quartieri cittadini, con conseguente aumento del prezzo degli affitti e degli immobili e migrazione degli abitanti originari verso altre zone urbane”. Questo fenomeno ha spaccato l’opinione pubblica in molte metropoli europee. Una su tutte Berlino, il cui sindaco è impegnato – dal 2019 – nel tentativo di riportare il maggior numero possibile di immobili in mano comunale, per garantire ai cittadini un freno all’incredibile impennata del costo degli affitti. Ma, d’altronde, la Germania tutta è diventata un punto di riferimento per gli studi relativi al processo di desquamazione e rinnovamento che sta coinvolgendo il continente. Basti pensare a Lipsia, che nel 2017 veniva già ribattezzata capitale tedesca della gentrification. Non a caso, è la città in cui la Merkel ha portato avanti gli studi.
Ma l’Italia è un paese profondamente diverso dalla Germania; e il “nostro sud” ancor di più. Allora nella nostra bella Napoli – la città del sole, del mare, della pizza e del mandolino – la gentrificazione neanche sappiamo cos’è. Eppure ci scorrazza sotto al naso, fino a entrarci nelle narici con i suoi odori profondamente nuovi e insoliti.
Il centro storico della città è invaso da insegne scritte in inglese, bed & breakfast con la faccia di Totò, vecchie edicole sommerse dai souvenirs, esempi di street art sulle facciate di chiese abbandonate. E ancora, palazzoni dal sapore minimal a due passi dalle macerie di Piazza Mercato e un Mc Donald’s piazzato all’interno della Galleria Umberto I.
Ma c’è un elemento in particolare che, tra le tante sfaccettature della città, sta subendo le trasformazioni che la gentrificazione porta con sé: il caratteristico vascio, troppo spesso misconosciuto. Uno spazio controverso, per legge inabitabile eppure da sempre abitato.
Ma ‘o vascio è l’emblema della dignità del popolo napoletano, che reagisce alla povertà e si prende cura dei pochi metri quadri in cui abita assieme a troppe persone.
Ma gli anni passano e la città comincia a mutare la pelle. Mentre Antonietta, Maria, Peppe e molti altri continuano ad abitare nelle loro quattro mura scure e profumate, sono tanti i bassi che si trasformano in ristoranti super gettonati o bed and breakfast pronti ad accogliere i turisti di tutto il mondo. Un tentativo di convivenza tra l’anima antica di un popolo che difende con le unghie e con i denti le proprie radici e il business che si insinua in una città tanto bistrattata quanto affascinante agli occhi del mondo.
Ma la convivenza tra passato e futuro – tra le tradizioni e il turismo – non è sempre pacifica. Abbiamo ascoltato la testimonianza de Il Basso Napoletano, piccolo basso a due passi da San Gregorio Armeno adibito a b&b e costretto a chiudere i battenti, per via della poca cura e del poco rispetto dei visitatori nei confronti dell’abitazione.
Che sia soggetto alle trasformazioni esterne o che resti ancorato alla propria natura, il vascio – inutile negarlo – racchiude il fascino malinconico della terra di Partenope. E il metro di misura di una rivoluzione del tessuto urbano, profonda e in divenire.