Coinvolgere il pubblico, accoglierlo, arricchirlo e contagiarlo di passione e conoscenza. Questo è quanto Gaetano Bonelli, direttore del Museo di Napoli – Collezione Bonelli, cerca di trasmettere da quasi quarant’anni nella sua azione chiamata ‘Pro-Napoli’.
Mosso da un sincero amore verso la sua terra, ha dato vita alla più importante raccolta antropologica al mondo dedicata ad una città. Una collezione che tratta di venti aree tematiche. Con oltre diecimila testimonianze, ad oggi, rappresenta l’intero universo napoletano. Dall’istruzione all’enogastronomia, dai trasporti all’igiene, dal commercio alla fotografia, dalla ludica allo spettacolo, e così via.
Racconti di epoche che non sono assolutamente remote. Un impegno che nasce da una folgorazione: “La prima volta rimasi colpito quando con mio padre visitai il Museo Duca di Martina e restai affascinato dal senso dell’antico, che però non deve essere visto come purtroppo alcune volte viene trasmesso, come un qualcosa di vetusto, di retrò, di ormai dei tempi andati, ma al contrario, come un’opportunità, una ricchezza, una fonte vivifica. Le radici alle quali dover attingere per poter guardare ed ambire al futuro e per vivere al meglio il presente. Le cose non si devono vedere con una logica passatista, ma come una fonte di ispirazione”.
In una città che non trova redenzione, recuperare queste testimonianze è servito a ritrovare in parte quella identità culturale un po’ persa tra speculazioni, affanni, e modernità. Manifesti, locandine, lettere, fotografie, rari reperti e preziosi cimeli, che documentano il vissuto quotidiano dei nostri antenati. Un viaggio nella memoria partenopea che è possibile, ad oggi, ripercorrere: “Perché mi sono letteralmente immolato per amore di Napoli. Ho dato tutto me stesso profondendo senza risparmio tutte le energie. Non solo economiche”.
Un progetto basato sulla dedizione, diventato un progetto di vita. Quasi impensabile che un singolo individuo possa aver fatto tutto da solo. Ebbene, questo è quanto è accaduto. “Ciò dovrebbe creare un’interazione, quello che ho fatto è il frutto di un impegno che ci si aspetta da un’istituzione, una fondazione, da un ente. In realtà l’ho fatto da solo, con le mie forze.
Dicevano gli antichi ‘omnia vincit amor’. Quindi con la forza dell’amore sono riuscito a dar vita ad un mondo di cui sono particolarmente affezionato, perché mi rendo conto di aver creato una realtà per la mia città. In qualche modo ho salvato la memoria laddove certe testimonianze, sono irrimediabilmente e scelleratamente perse”.
Dopo tanti contatti, tante promesse mendaci e disillusioni, un ringraziamento speciale è doveroso farlo al Presidente della Fondazione “Casa dello Scugnizzo”, il Professor Antonio Lanzaro, che ha messo a disposizione della raccolta gli ambienti dove è a tutt’oggi ospitata.
“Concedendomi questo spazio in comodato d’uso gratuito, quindi una cosa davvero rimarchevole, mi ha consentito di poter avviare questo progetto. Uno spazio che però è del tutto insufficiente e inadeguato. Ci sarebbe bisogno di una sede molto più ampia. Se volessimo concedere il minimo, dieci metri quadri ad area tematica, ci vorrebbero tre/quattrocento metri quadri”.
Il proposito tanto ambizioso del Curatore partenopeo è ricco di premura, attenzione e abbondanza di particolari. Dopo la chiusura dello storico Cinema Arcobaleno, si è giunti alla notizia della probabile vendita del Monte Pietà. E poi il caso del Banco di Napoli, la Banca più antica che vantava sedi in tutto il mondo, motivo di tanto orgoglio.
“È stato per una manovra di palazzo scippato alla città, ma la città ahimè non fece nulla per evitare questa criminale soppressione”. Ma proprio per questo ed in questo la resilienza di Bonelli si palesa, è in corso, infatti, una mostra, inaugurata il 26 novembre scorso, prorogata fino al 30 aprile.
“È una mostra che ho allestito proprio per riporre all’attenzione dell’opinione pubblica la questione del Banco di Napoli che era ormai una pratica archiviata e che anzi si voleva a tutti i costi che rimanesse tale, per non far sapere. Per non fare emergere le magagne. Ed io in realtà l’ho voluta fortemente, proprio per fare in modo che se ne parlasse. Ho denunciato.
Questo può servire a futura memoria, almeno affinché si abbia contezza dei fatti. Questa mostra è stata patrocinata con un contributo da parte del gruppo Seniores del Banco di Napoli e si è avvalsa della collaborazione di Giovanni Ardimento, referente dell’area economico – finanziaria della collezione pro Napoli”.
Un sentimento di viva affezione, quello di Bonelli. Un attaccamento alle origini che null’altro cerca se non il riappropriarsi dei suoi valori fondanti. “Ho fatto molto di più di quanto avrei dovuto e potuto. Perché sono stato ad un certo punto, e permane questo discorso, letteralmente fagocitato da quest’amore nei riguardi della mia terra e soffro nel vedere quando Napoli viene stuprata delle sue testimonianze.
La mostra del Banco di Napoli è nata come grido di dolore, è una delle cose delle quali vado più fiero, laddove la città ha perso un’istituzione sei volte secolare con l’indifferenza e la complicità delle istituzioni e di quanti avrebbero dovuto difendere questa nostra risorsa, come tante altre risorse, che sono state defraudate. Allora ho cercato di dar vita a questa mostra per aprire una finestra alla conoscenza, sulla bellezza, sulla storia”.
Bonelli esprime la delusione e l’amarezza verso l’incuria e l’insensibilità tanto dei politici, quanto dei cittadini. Una collera che esprime ricordando “Campanilismo” di Raffaele Viviani, di quanto sia difficile essere apprezzati in patria. “Napoli è disposta a perdonare tutto fuorché l’ingegno”. Il curatore riporta le parole di Libero Bovio, marcando uno dei difetti più grandi del carattere partenopeo: l’incapacità di essere unità:
“Questa è una terra strana con molte gelosie, invidie che manca di uno spirito di cooperazione. Ci sono tante eccellenze, però volte ad individualismi esasperati. Quanto alle istituzioni, sono profondamente amareggiato, perché a seguito del mio sincero impegno verso questo progetto e verso Napoli, evidentemente peccando di ingenuità, ho cercato di coinvolgere tutti.
Sindaci, assessori, giornalisti, critici d’arte, storici, cultori di storia patria, sono venuti tutti a vedere questa mia raccolta e nessuno, nessuno se n’è andato senza esprimere il suo entusiasmo, la meraviglia, un senso di ammirazione, sicuramente verso l’abnegazione, però poi, nonostante le promesse, è seguito il silenzio.
Ho fatto più volte presente che per dare un prosieguo a questo progetto, per fare in modo che lo stesso divenga un qualcosa di compiuto e di utile, di meraviglioso, di straordinario per la collettività, c’è bisogno di fare un gioco di squadra”.
Un periodo storico che mette in evidenza l’incapacità da parte del popolo campano di valorizzare le proprie eccellenze e soprattutto riconoscerne le radici: “La bellezza della conoscenza, del piacere e non del dovere, dell’imposizione, come in maniera mnemonica ed inefficace alcuni insegnamenti della scuola trasmettono. Il piacere di abbeverarsi alla fonte della conoscenza.
Io sono un autodidatta, mi sono formato da solo. Sono andato a cercare tutti i reperti a mo’ di archeologo, è la “curiositas” che muove tutto, al fine di recuperare i tasselli di questo straordinario mosaico che è Napoli. Poi negli anni è nata una sorta di sedimentazione di testimonianze, di reperti, e quindi crescendo mi resi conto che tutto questo era un patrimonio che meritava di essere trasmesso, ma soprattutto di metterlo in condizione di poterlo far vedere in particolare alle giovani generazioni.
Quindi l’ho messo a disposizione, l’ho fatto con la naturalezza di chi considera la cultura non un qualcosa di nepotistico, clientelare, salottiero, snobistico, ma come una ricchezza che deve essere condivisa e deve arrivare soprattutto dove la cultura non è solita arrivare, nelle periferie, ai ragazzi svantaggiati. Il degrado chiama degrado”.
Si racconta oggi un uomo che dice di aver contratto la “napoletanite” all’età di dodici anni, quando, dopo essere stata colpita dal terremoto, la città viveva un momento di grande ambascia, di precarietà:
“Si parlava del futuro di Napoli in termini incerti. Io somatizzai questa cosa e poi quando mi scrissi al liceo giù Napoli, frequentando la città in lungo e largo mi innamorai di Napoli, al punto da saltare talvolta la scuola per andare a vedere il Museo Archeologico, che ritenevo molto più istruttivo e formativo. Programmavo le visite sulla mia agendina. Capodimonte, le chiese, i musei, varie tappe. Anche con mia nonna. Come quando visitammo la Reggia di Caserta e rimasi profondamente colpito dalla sua bellezza e dalla sua straordinaria magnificenza”.
Il Museo di Napoli è un’occasione per emanciparsi. Per ricucire lo strappo tra passato e presente. Per vivere i nostri giorni con consapevolezza di ciò che è stato. Bonelli è alla ricerca di un riscatto, che non sia personale, ma che porti arricchimento alla comunità intera.
“Attraverso la raccolta si scopre che spesso le cose che noi pensiamo essere frutto dei nostri tempi, della modernità, altro non sono che rifacimenti ispirati ad antiche intuizioni ed invenzioni. Una sorta di corsi e ricorsi, che rimandano alla memoria dei tempi passati, ma perfezionando il tutto in linea con le esigenze ed i progressi tecnologici maturati.
Le testimonianze, gli oggetti, trasmettono anche un senso dell’estetica. I ragazzi non sono purtroppo educati al bello. C’è un pragmatismo esasperato che riduce tutto all’osso, tutto all’essenza, alla funzionalità ‘sic et simpliciter’, ma gli antichi dimostrano con la loro capacità creativa, che l’uno non esclude l’altro. La praticità non deve cozzare con l’estetica, con la bellezza”.
Un richiamo al bello, ma soprattutto un’invocazione al senso civico. “Dirsi innamorato di Napoli è diventato uno sport quasi condiviso da tutti, tanto non costa nulla. Poi quando a costoro si chiede di fare qualcosa di concreto per la città, si registra un fuggi-fuggi generale. Questo progetto pro-Napoli va condiviso, è un impegno, è una chiamata, metaforica s’intende, alle armi, affinché sua maestà il cittadino faccia la sua parte, dia il suo apporto.
Spesso critichiamo le istituzioni rette in ogni caso da uomini, ma cosa fa il cittadino? Ogni cittadino è sindaco, è assessore alla cultura, è assessore al patrimonio, è assessore al verde, ognuno di noi può fare tanto, ognuno di noi può dare il suo contributo, modesto, appassionato, ma sincero”.
Anni delle proprie energie e del proprio tempo spesi per dar vita ad una causa volta a promuovere la cultura e la bellezza, ma la pandemia da Covid-19 ha finito con l’inasprire una situazione già difficile. “Ho fatto tanti appelli che puntualmente sono rimasti inascoltati. Sono un inguaribile ottimista e credo nella bellezza dei sentimenti e dei valori.
Sono altresì consapevole dei miei limiti in termini oggettivi, strutturali e pratici. Quindi finché avrò la forza e la grinta di portare avanti quello che è il progetto di una vita, coerentemente, andrò avanti. Quando questo non sarà più possibile, ne prenderò tristemente atto”.
A questo punto non resta che chiedersi se dopo tutto ne sia valsa la pena. “Rifarei tutto quello che ho fatto, non sono pentito. Sono deluso, profondamente addolorato. Perché il trasporto, la passione, l’amore, il forte senso civico che mi pervade, pensavo che in qualche modo fosse un qualcosa di condivisibile, di contagioso e ho scoperto sulla mia pelle che non è così, ho scoperto che c’è un egoismo che cozza con l’azione che mi pervade.
Devo fare i conti con una realtà che non ha ancora recepito che attraverso la bellezza può nascere la vera emancipazione. La rinascita. E quindi la possibilità, anche a voler ragionare in maniera pragmatica, di dar vita a situazioni che possono portare al business, soddisfare le esigenze occupazionali”.
Tuttavia, c’è chi ha raccolto l’amore di Bonelli, facendone insegnamento e tesoro. Ce lo racconta con delicatezza, emozione e con un sorriso. “Una ragazzina del bar venne a portarmi il caffè. Bellina, dai lineamenti delicati, mi fece tenerezza. Le chiesi se avesse del tempo per fermarsi e vedere la mostra. Appena accesi le luci, sgranò gli occhi.
Le mostrai alcuni oggetti, rimase rapita, ed io ebbi la riprova di quello che è da sempre un mio grandissimo convincimento. Questa ragazza forse aveva per la prima volta visto la bellezza, nel senso lato del termine. In un ambiente familiare sicuramente di precarietà, doveva lavorare forse per mantenersi gli studi.
Poi le dissi: lo vedi tutto questo? Io l’ho fatto per te. Per quelli come te che hanno bisogno di nutrirsi di bellezza, che ahinoi viene preclusa in certi ambiti. Considerala casa tua, quando vuoi le porte saranno sempre spalancate. Porta chi vuoi. Io sarò ben lieto di ospitarvi”.
È proprio da episodi come questo che nasce l’obiettivo di creare un museo completo e articolato. È proprio per quella ragazza che oggi ci viene chiesto di unirci e fare in modo che “questo manipolo e fetiente” non abbia la meglio. Un amore che necessità di altrettanto amore, se non superiore. Quell’amore che è stato ritrovato negli occhi dei giovani studenti, laddove alcune volte la scuola imprigiona.
Il trasmettere cultura e il saper comunicare la bellezza creano invece le basi per una civiltà futura migliore. Una dedica bellissima è rimasta tra le preferite di Bonelli, che custodisce nel suo libro ‘degli ospiti’ e che ricorda con gioia: ‘Hai un cuore grande, quanto Napoli’.
“I ragazzi avevano capito e soprattutto apprezzato che gli avevo trasmesso, la bellezza e la grandezza della città. Loro percepiscono tutto, le cose fatte con amore, la sincerità. I ragazzi sono puri”. L’essere volto e non maschera. Così definisce il suo punto di forza.
Un’innocenza che gli permette “di guardare il mondo in una maniera meno ignobile, e tutto questo va preservato da un discorso che è votato ad affarismi, nepotismi e corruttele, che io puntualmente denuncio, facendomi puntualmente qualche nemico in più, ma non intendo cambiare”.
Lo lasciamo così, nell’ennesima richiesta di supporto, piuttosto che aiuto. Con il suo calore e l’accoglienza che solo un vero napoletano riesce a trasmettere. Con orgoglio e gentilezza negli occhi, proprio come la sua città tanto amata, che anche se ferita, trasmette sempre lo spirito di casa.