Vado sul sito di Servizio Pubblico e noto il conto alla rovescia delle ore che mancano alla prossima puntata: nel momento in cui scrivo equivalgono a un giorno, nove ore, trentotto minuti e qualche secondo – è questo il tempo che manca alla prossima puntata di Sputtanapoli.
Di cinquantasei secondi è l’anteprima di Luca Bertazzoni, che da buon comunista quale forse è (o marxista, o altro?), data la maglia con l’effigie del Comandante Che Guevara che sfoggia su Facebook, si occupa degli emarginati, dei quartieri popolosi abbandonati a sé stessi, della gente disagiata: in questo caso del Rione Traiano, dove abitava Davide Bifolco, storia che conoscete tutti ormai. Peccato che non lo faccia per difenderli, come facevano gli intellettuali veri con cui, grosso modo, condivide le convinzioni sul modo di intendere la società, dato che il titolo dell’anteprima è “Napoli senza casco” e la sua descrizione reciti così:
“Napoli piange ancora Davide Bifolco, ma a meno di 20 giorni dalla morte del ragazzo niente sembra essere cambiato al Rione Traiano: mentre non sono ancora chiare le dinamiche dell’accaduto – la versione dei carabinieri e della famiglia non collimano – ragazzi di 13 anni continuano a girare senza casco, patente e assicurazione. “Non abbiamo i soldi per farla. È normale girare senza casco: lo Stato m’adda fa nu bucchin””. Non c’è scritto, però, che a napoli costa di più l’assicurazione che il cumulo del costo del motorino e la multa di quando ti acchiappano senza casco e senza assicurazione, e peccato, ancora, che Bertazzoni non si sia accorto che il ragazzo lo stia sfottendo: o forse se n’è accorto, ma ha fatto finta di niente?
Insomma dal Rione Traiano già si è passati all’intera Napoli. Anzi, scusate, non dal Rione Traiano, ma da due ragazzi fermati lì: due ragazzi su quasi un milione di abitanti che conta la città partenopea. Che decadenza questa Napoli, che schifezza questa Televisione (ma questo lo sapevamo già), che obbrobrio questa plebe!
Che nostalgia i vecchi intellettuali, come Pier Paolo Pasolini, il quale nel poemetto “L’Appennino ”, contenuto nella raccolta “Le ceneri di Gramsci ”, definisce Napoli “nazione nel ventre di una nazione ”, dove si sopravvive la primitiva vitalità dell’uomo che nel resto d’Italia e d’Europa va man mano estinguendosi, una delle poche speranze per l’umanità.