Ero poco più di un bambino, quel maledetto 11 giugno di 27 anni fa. Mia madre era andata ad assistere allo spettacolo di mia cugina che si teneva nello stesso asilo dove qualche anno prima ero stato anche io. “Rosà, per piacere, puoi andare a fare il filmino a mia figlia?”. Mia zia era incinta, faceva molto caldo. Dopo neanche venti giorni avrebbe partorito. Mamma accettò con gioia, prese la telecamera e scese.
I bambini si esibivano felici, c’era anche Francesco. Era l’ultimo giorno di scuola. Silvia in prima fila, orgogliosa del suo secondogenito. Il disegno consegnato, un sorriso, poi mano nella mano verso casa. “Scendiamo insieme?”, le chiese mia madre. “No Rosà, mi allungo a fare la spesa”. Un bacio sulla guancia, poi le loro strade si separarono.
Mamma risalì a casa, c’era già mia zia ad aspettarla. Improvvisamente dei rumori sordi. “Sono spari”. Poliziotta, conosceva troppo bene quel drammatico suono. Purtroppo ebbe ragione.
Lei, mio padre e mia madre si fiondarono alla finestra, nel mentre chiamavano il 113. Non ci fu tempo. Perché si fermò lì. Per Silvia, per Francesco, Per Alessandra, per Lorenzo.
Da quel giorno, ogni volta che esco di casa, ti penso. Ogni volta. Anche per me, per noi, c’è stato un prima e un dopo 11 giugno 1997. Pure se non conta, se non importa, se non cambia un cazzo. Non ti dimenticheremo.