La StreetArt al Pan di Napoli: Shepard Fairey alias #Obey.


Sapete dare una definizione di Street Art? Io no, allora sono andata a consultare Wikipedia, da brava cittadina del mio tempo ed ecco cosa trovo: “ …è il nome dato dai mezzi di comunicazione di massa a quelle forme di arte che si manifestino in luoghi pubblici, spesso illegalmente, nelle tecniche più disparate: spray, sticker art, stencil, proiezioni video, sculture ecc.” Ma allora Napoli ne è piena! Chiunque abbia mai passeggiato, di notte e di giorno, nel centro storico della città(e non solo) ha potuto trovare “opere”, che siano d’arte o meno, le quali sicuramente rispondono alla definizione di cui sopra.

Ma c’è di più: ci sono gli americani. Ora vi spiego: una cosa, qualsiasi cosa, gli americani (quelli bravi, quelli che fanno i soldi) non lo rendono visibile agli occhi della massa, finchè non è monetizzabile. Quello è il passaggio che trasforma il “brutto” in “bello”, il “cattivo” in “quanto meno accettabile”e “l’illegale” in “legale, bello o quanto meno accettabile”. E questo modus operandi, capiamoci subito, non ritengo sia né un bene né un male: è un fatto.

Come è un fatto che un “artista di strada” come Shepard Fairey, un quarantaquatrenne di Charleston (Carolina del sud) alias Obey,  abbia realizzato il manifesto Hope” che riproduce il volto stilizzato di Barack Obama in quadricromia, per l’elezioni presidenziali del 2008; è un fatto che il merchandising con la parola”Obey” scritta sopra vada a ruba ed è un fatto che ora, il buon Shepard, esponga nei musei di tutto il mondo, ad esempio dal 6/12/2014 al 28/02/2015 sarà al Palazzo delle arti di Napoli.

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Ho visitato la mostra e posso dire che la fantasia, la bravura, il talento di Obey siano indubbi, ma due tipi di ragionamenti mi hanno accompagnato una volta uscita dal Pan. Il primo è relativo proprio all’ambientazione della mostra. È  strano seguire l’etichetta del “visitatore del museo”, composta da regole rigide: pagare un biglietto,non fotografare, parlare a bassa voce, per poi guardare stampe che incitano alla ribellione e che invitano al ragionamento sulla massificazione (la parola “Obey” è una citazione al film “Essi vivono” di J. Carpenter, in cui il protagonista scopre con sgomento, grazie a particolari occhiali da sole, che il mondo che lo circonda non è quello che sembra: attraverso il filtro in bianco e nero delle lenti, osserva Los Angeles completamente tappezzata da propaganda totalitaria con costanti comandi subliminali sull’obbedire e conformarsi e che senza occhiali appare con normali cartelloni pubblicitari e riviste).

Il secondo pensiero che mi accompagna dall’uscita della mostra è semplicemente una frase in latino, imparata sui banchi del liceo classico, che ogni tanto mi ritorna in mente e questa si è rivelata un’ennesima occasione per farlo: Romae omnia venalia esse. (A Roma) tutto è in vendita.

QUANDO: dal 6 dicembre 2014 al 28 febbraio 2015;
DOVE: Palazzo delle Arti di Napoli, Via dei Mille 60;
INFORMAZIONI: +39 331 5257660.


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