Napoli è sempre stata una città in cui convivono sacro e profano, fede e scaramanzia. Ha sempre avuto un forte rapporto con i morti e in particolare con le anime del Purgatorio. Ne è una dimostrazione la cura con cui sono tenuti i teschi del celebre cimitero delle Fontanelle, situato nel rione Sanità. Luogo di culto e pellegrinaggio, il cimitero nasconde in sé una miriade di leggende. La più famosa è senza dubbio quella che riguarda il Capitano. Il suo teschio è considerato come una star del luogo, al punto che, a differenza degli altri, è posizionato in una teca di vetro che ha il compito di preservarlo dall’umidità e dall’incuria dei più curiosi. Per i napoletani, che sono soliti farsi il segno della croce ogni volta che lo nominano, il Capitano è un’anima pia perché aiuta i devoti che si affidano a lui.
Ma come ogni prima donna che si rispetti, l’origine di questo teschio è celata nel mistero. Molteplici sono le storie raccontate negli anni.
La più celebre è quella dei due sposini. La leggenda narra di una giovane donna che era solita andare a pregare presso il Capitano. Il promesso sposo, non capendo tanta fede e provando gelosia nei confronti di un morto che attirava le attenzioni dell’amata, decise di accompagnarla per vedere il famoso teschio. Arrivato sul luogo il giovane infilò un bastone nella cavità dell’occhio del cranio e prendendosene gioco, lo invitò al proprio matrimonio. Il giorno delle nozze arrivò tra gli ospiti un uomo sconosciuto con indosso la divisa di un carabiniere. Avvicinatosi allo sposo, l’invitato misterioso aprì la giacca e mostrò il proprio corpo che non era fatto di carne, ma bensì di ossa. Vedendo quella scena i due sposi si spaventarono al punto di morire.
Si dice che le ossa dei due novelli sposi siano ancora oggi conservate nella prima stanza del cimitero delle Fontanelle sotto la statua di Gaetano Barbati.
Un’altra leggenda pone le sue origini in un’opera del maestro Roberto De Simone. Protagonista è un donnaiolo di cattiva reputazione che si recò al cimitero per fare l’amore con una ragazza. Sentita la voce del Capitano che gli chiese di fermarsi, il giovane si fece beffe di lui invitandolo il giorno delle nozze per sfidarsi a duello. La vendetta non si fece attendere. Il morto offeso interruppe il ricevimento nuziale e mostrando la sua vera identità prese per mano i novelli sposi bruciando i loro corpi e provocandone la morte.
La tematica del convitato di pietra, che compare il giorno delle nozze alle quali è stato invitato, si riscontra in alcune leggende islandesi e bretoni. Queste storie hanno tutte in comune l’offesa a un morto e la negazione dell’aldilà da parte del protagonista.
In particolare, assomiglia alla leggenda del Capitano anche il mito del celebre “Don Juan ou le festin de pierre” di Molière, rappresentato nel 1665, e l’opera lirica firmata da Mozart nel 1787. Ancora più simile alla versione napoletana è il “Burlador de Sevilla y Convidado de piedra” di Tirso de Molina, edito nel 1630.
Fonti: Marino Niola, “Il purgatorio a Napoli”, Meltemi Editore, Roma, 2003
Giovanni Macchia, “Vita avventure e morte di Don Giovanni”, Adelphi, Milano, 1991