Il Maschio Angioino: la leggenda del coccodrillo e il mistero che continua
Mar 22, 2015 - Germana Squillace
Vari luoghi della città di Napoli sono legati al mistero. Uno fra tutti il Castel Nuovo, detto anche Maschio Angioino. Storico castello medievale, il “Castrum Novum”, come lo chiamavano in origine i sovrani di casa d’Angiò, cela una delle più celebri leggende napoletane. Il Maschio Angioino, faceva parte del sistema difensivo dei sette castelli di Napoli. Ha nei sotterranei due prigioni: la “prigione della congiura dei Baroni” e la “fossa del miglio” che inizialmente era usata come deposito del grano. Ma proprio quest’ultima, con il passare del tempo fu usata per rinchiudere i prigionieri, tra gli altri anche il filosofo Tommaso Campanella. E da allora prese il nome di “fossa del coccodrillo”. Benedetto Croce racconta, in “Storie e leggende napoletane”, l’origine di questa denominazione:
“Era in quel castello una fossa sottoposta al livello del mare, oscura, umida, nella quale si solevano cacciare i prigionieri che si volevano più rigidamente castigare: quando a un tratto si cominciò a notare con istupore che, di là, i prigionieri sparivano. Fuggivano? Come mai? Disposta una più stretta vigilanza allorché vi fu cacciato dentro un nuovo ospite, un giorno si vide, inatteso e terrifico spettacolo, da un buco celato della fossa introdursi un mostro, un coccodrillo, che con le fauci afferrava per le gambe il prigioniero, e se lo trascinava in mare per trangugiarlo”.
Non poté resistere al fascino del mistero del coccodrillo neanche Alexandre Dumas che nella “Storia dei Borbone di Napoli” scrisse: “Da questa bocca dell’abisso, dice la lugubre leggenda, uscendo dal vasto mare, appariva un tempo, l’immondo rettile, che ha dato il suo nome a quella fossa”.
Ma da dove proveniva questo coccodrillo? La leggenda narra che fu portato a Napoli dall’Egitto, dalla regina Giovanna II che sposò nel 1415 Giacomo di Borbone. Tutti la ricordano grazie all’imponente mausoleo di San Giovanni a Carbonara che ella stessa fece costruire. Antonio Caracciolo, detto Carafa, la descrive come “Bella e seducente, vana e mutevole, ma buona e di buon senso, se ne viveva in letizia di facili amori”. E proprio questi “facili amori” doveva nascondere nelle segrete di Castel Nuovo dando in pasto al coccodrillo, tramite una botola, tutti i suoi amanti. Secondo alcuni, anche le profondità del Castel dell’Ovo erano piene di fosse, con punte di spada e lame di rasoi, nelle quali la regina faceva precipitare i suoi amanti.
Un’altra leggenda narra invece che a inventare la fossa del coccodrillo fu Ferrante d’Aragona, re di Napoli dal 1458 al 1494. Il sovrano gettò lì, dopo averli attirati in un tranello, numerosi Baroni protagonisti d’una congiura ai suoi danni. Secondo Croce fu proprio re Ferrante a disfarsi del coccodrillo. Decise di ucciderlo gettandogli in pasto una coscia di cavallo. Morto soffocato, l’animale fu pescato, impagliato e appeso alla porta d’ingresso.
Nel 2004 si è scritto nuovamente della leggenda del coccodrillo dopo che è stato trovato uno scheletro di animale durante gli scavi della metropolitana di piazza Municipio. Per i più appassionati del mito, quello ritrovato sarebbe davvero lo scheletro del famelico coccodrillo voluto dal re e dalla regina napoletani, per i più scettici si tratterebbe delle ossa di un cetaceo. Tutt’oggi il mistero sembra irrisolto.
Fonti: Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, a cura di G. Galasso, Adelphi, Milano, 2001; Alexandre Dumas, “Storia dei Borbone di Napoli”, Marotta&Marotta, Napoli, 2003; Agnese Palumbo, Maurizio Ponticello, “Il giro di Napoli in 501 luoghi”, Newton Compton editori, 2014; Paola Giovetti, L’Italia dell’insolito e del mistero: 100 itinerari diversi, Edizioni Mediterranee, Roma, 2001.