“Nel mio grosso grasso matrimonio greco”, Gus Portokalos, il simpatico padre della protagonista, sostiene che la maggior parte delle parole provengano dal greco. Ugualmente i partenopei potrebbero invece sostenere che molte tradizioni, innovazioni e spettacoli pongono le loro radici nella Napoli di una volta. Fra questi bisogna annoverare anche il celebre Festival di Sanremo.
Tra il 1931 e il 1932, Ernesto Murolo, padre del famoso Roberto, decise di esportare la musica partenopea al nord, organizzando un Festival della Canzone Napoletana presso il Casinò Municipale di Sanremo. La struttura era stata inaugurata a inizio Novecento con l’intento di attirare turisti. Nel 1927, con un Regio Decreto, lo Stato fascista impose che una parte degli introiti derivati dal gioco d’azzardo fossero destinati a iniziative culturali. Un anno dopo fu creata anche la Società Anonima Casinò Municipale, che si occupava dell’organizzazione di eventi.
L’idea di trasportare un simile evento artistico al di fuori di Napoli piacque agli amministratori della città dei fiori, in primis al partenopeo Luigi De Santis, gestore del Casinò. La kermesse musicale, ospitata nella Sala da Gioco, si svolse dal 24 dicembre all’11 gennaio del 1932. La direzione artistica spettò ovviamente a Murolo, quella dell’orchestra fu affidata a Ernesto Tagliaferri. Lo spettacolo prevedeva una carrellata, in due tempi e otto quadri, di testimonianze musicali in sequenza cronologica dal Seicento al Novecento. Non solo canzoni, ma anche scenette della Commedia dell’arte, esecuzioni di tammurriate e tarantelle. Tra i protagonisti della kermesse Ada Bruges, Marta Adda, Mario Pasqualito, Vittorio Parisi, oltre a qualche non napoletano, come il fiorentino Carlo Buti. Non poté mancare Nicola Madalcea, personaggio simbolo di quel periodo considerato l’inventore della macchietta.
Ma lo spettacolo sanremese non fu solo una gara canora, ma piuttosto una manifestazione che voleva rendere omaggio alla napoletanità, come affermò lo stesso Murolo al debutto del Festival: “Non è soltanto questa l’esaltazione della canzone di Napoli, ma è anche un soffio della sua anima musicale che rende universale il sentimento dell’arte e affratella popoli e nazioni in una sola parola: Poesia”.
Alla produzione collaborarono vari sponsor tra la cui la casa discografica Voce del Padrone e le Radiolette della RCA. L’istituto Luce riprese l’intera kermesse e produsse un documentario che fu presentato nelle sale cinematografiche.
Fonti: Anita Pesce, Marialuisa Stazio “La canzone napoletana. Tra memoria e innovazione”, Gruppo di Studio sulla Canzone Napoletana, Napoli, 2014
Antonio Sciotti, “Ada Bruges, l’ultima sciantosa di Cantanapoli”, Rabò, Napoli, 2010
Valerio Venturi, “Cesare Andrea Bixio”, Webster, Limena, 2010