Il corallo, l’oro rosso dei torresi: la leggenda della sua nascita


Il poeta latino Ovidio racconta nelle sue “Metamorfosi” che quando l’eroe greco Perseo recise la testa di Medusa il sangue del mostro schizzò nel mare. Il potere della gorgone era quello di pietrificare col solo sguardo qualunque cosa, così il suo sangue si andò adagiare su alcune alghe trasformandole in pietre rosse, chiamate corallo. Ovviamente, non è questa l’origine del Corallium Rubrum, il corallo rosso, che nasce dall’aggregazione di alcuni polipi in tratti di mare ombrosi e freschi, però ci fa capire che greci e romani già conoscevano questo tesoro del nostro mare.

corallo

Il nome stesso sembrerebbe derivare dal greco “koraillon”, “scheletro duro”, ed è sempre stato una delle risorse più amate del Mar Mediterraneo. L’oro rosso, come verrà ribattezzato, era particolarmente amato dalle signore di qualunque epoca: il colore tanto accesso rimandava direttamente all’amore, alla passione, e le donne più ricche adoravano abbellirsi con collane, orecchini e diademi di corallo. In periodo medievale e rinascimentale, venne apprezzato anche dalla Chiesa, che lo usò molto in rappresentazioni sacre. Così, il corallo diede colore a sangue di martiri, cuori di santi e trionfi angelici.

È in questo periodo storico che gli abitanti di Torre del Greco iniziarono a dedicarsi completamente alla pesca di un materiale tanto prezioso. Nonostante l’intero Mediterraneo fosse pieno di corallo, c’erano luoghi con una concentrazione incredibile come le coste della Sardegna, in particolar modo vicino ad Alghero. Le navi coralline torresi iniziarono ad andare e tornare dalla città sarda con carichi incredibili di corallo: a Torre, poi, veniva trattato, lavorato, trasformato in gioielli e rivenduto nel resto del mondo. L’economia dell’intera zona crebbe a dismisura, ma in danno all’ecosistema marino.

Pescatori di corallo

Pescatori di corallo

Le coralline montavano uno strumento, “‘o ‘ngegno”, a forma di croce che veniva calato in acqua e raschiava l’intero fondale raccogliendo immense quantità di corallo. Non è difficile capire quanto questo sistema distruggesse l’intera zona causando danni irreparabili a fauna e flora. Per questo motivo, già nel 1789 Ferdinando IV di Borbone promulgò il Codice Corallino, documento che avrebbe dovuto regolare la pesca del corallo, stabilendo quantitativi e modalità non solo per i pescatori torresi, ma anche per livornesi, trapanesi e genovesi che si erano da poco avvicinati alla fruttuosa attività.

Il codice sortì scarso effetto, tanto è vero che nel 1805 sorse a Torre del Greco la prima vera industria per la lavorazione del corallo. L’Ottocento intero fu un secolo d’oro per i torresi, che iniziarono la pesca anche a Sciacca: nel 1878 aprì anche la prima scuola di lavorazione del corallo. Oggi, l’istituto ospita il Liceo Artistico della città ed un museo del corallo che raccoglie opere antiche e meravigliose realizzate con il prezioso oro rosso.

Soltanto negli anni ’80 del ‘900 la pesca del corallo subì una battuta d’arresto: in tutto il Mediterraneo venne proibita la pesca con lo “‘ngegno”, per tutelare quello che restava dell’ecosistema marino. Attualmente, solo trenta subacquei professionisti hanno la licenza per pescare nelle acque di Alghero, ad esempio. Con le coralline messe fuorilegge, i torresi abbandonarono la fruttuosa pesca per dedicarsi soltanto alla lavorazione e alla commercializzazione del corallo. Oggi, con la nascita di altri mercati concorrenti e la lenta scomparsa dei più importanti gioiellieri locali, la denominazione di “città del corallo” sembra essere tutto ciò che rimane della tradizione e della ricchezza e la storia di Torre del Greco.


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