La pesca del corallo, si sa, è stata, in passato, una delle attività principali dei marinai della città di Torre del Greco.
La vocazione marinara del popolo torrese è molto antica ed era praticata già nel XVI secolo dalla maggior parte degli abitanti. Questi ultimi erano gli unici che navigavano anche in condizioni di pericolo estremo e, già a partire dalla metà del 1500, quando la pesca del corallo si effettuava soprattutto sulle coste salernitane, essi restavano spesso vittime dei corsari barbareschi, pirati di nazionalità turca, che, nel 1558, con una flotta di 120 galee, con a capo il pascià Mustafà, devastarono i paesi del golfo di Napoli, da Punta Campanella fino a Torre del Greco, catturando più di dodicimila abitanti.
Quando i marinai torresi iniziarono a spingersi verso le coste africane, nei pressi dell’isola di Galita, il numero di torresi rapiti e tenuti prigionieri in Turchia divenne sempre più numeroso e sempre più pericolosa la navigazione nel mediterraneo. I prigionieri, per la quale i pirati chiedevano un riscatto, venivano torturati in maniera indegna nelle prigioni turche, incatenati e ammassati tipo bestiame e spesso trucidati. L’espressione “pigliate d”e turche” indicava quindi quei marinai torresi rapiti e tenuti prigionieri. La paura di vedersi “pigliate d”e turche” era talmente grande che ispirava anche bellissimi, ma tristi canti popolari:
Me ne parto cu ‘na varca ‘ncopp’a ll’onna,
Faccio la mia partenza lacremanno
E quanno so’ arrivato a chillu ‘ntuorn
Faccio ‘na lettricella e te la manno.
Cu chillu ngòstio ca te sto scrvenno,
So’ li llacreme meje ca vaje penzanno,
Nun sò quanno sarrà lu mio retuorno,
Si passarranno juorne, mise o anne!…
In questo canto un marinaio parte lacrimante, non per paura del mare, ma per il timore di essere preso dai turchi. Saluta così la propria donna, promettendo di inviarle una lettera non appena sarà arrivato sul luogo della pesca, e dicendole di non sapere quando tornerà a casa. Passeranno giorni se costretti a scappare, mesi se la pesca andrà bene, anni se saranno rapiti. Di qui l’espressione “me veco pigliate d”e turche” che è entrata a far parte dei detti popolari torresi ancora oggi in uso per indicare un momento di difficoltà estrema.