La città di Torre del Greco, ed i comuni limitrofi, si sono sempre distinti dagli altri comuni per una particolare indipendenza economica e commerciale. Questa diversità si ricollega non solo ai primati unici dell’artigianato di zona (ad esempio la lavorazione ed il commercio del corallo), ma, principalmente, al percorso storico di questi centri urbani.
Agli inizi del XVI secolo, mentre le terre campane venivano attirate e monopolizzate sotto il controllo economico di Napoli, Torre del Greco, Resina (Ercolano), Portici e Cremano furono concesse alla sovranità di un solo uomo. Francesco Carafa acquistò il titolo di primo Capitano di queste terre come governatore regio. Egli quindi poteva amministrare la giustizia e aveva pieno diritto di imporre e riscuotere tasse e di nominare a suo piacimento un successore.
Questo passaggio di mano comportò una separazione radicale fra l’economia torrese e quella di Napoli, che non poteva vantare più alcun diritto sugli introiti delle zone sotto il controllo della Capitaneria. Infatti, seguirono anni floridi per le terre del Carafa e i commerci si intensificarono senza i dazi imposti dalla capitale.
Tuttavia il rovescio della medaglia, era che, essendo proprietà di un sol uomo, il territorio poteva essere facilmente venduto o usato come bene di scambio. Torre del Greco e gli altri territori passarono per quasi due secoli per le mani di nobili di mezza Europa attirati dalle infinite ricchezze che la zona prometteva e, ognuno di loro, imponeva nuove leggi, nuove gabelle e nuovi modi di governare.
Quando, nel 1696, Torre del Greco fu nuovamente venduta dalla contessa di Berlino, per 106.000 ducati, al nobile spagnolo Don Mario Loffredo, i torresi decisero di ribellarsi, e tornare sotto il controllo diretto del re, con i mezzi più potenti di cui, al tempo, potevano disporre: menti e denaro.
Così, grazie all’opera di eminenti uomini come Nicola Brancaccio, il più influente e perciò detto ”lu re d’a Torre ‘u Grieco”, i cittadini intentarono un’azione contro il Loffredo, ritenuto affarista e di scarso affidamento, che aveva pagato alla contessa solo 6.000 ducati tardando a versare il resto. Raccolsero con prestiti e gabelle la somma di 106.000 ducati (55.667 per Torre, 35.333 per Resina e 15.000 per Portici e Cremano) oltre alle spese procedurali, e sollecitarono la contessa affinchè li preferisse nella vendita, in omaggio al diritto di prelazione. Il 18 maggio 1699 il Tribunale della Regia Camera emise il Decreto di ammissione delle terre al Demanio Regio.
Il 15 Agosto 1699 venne nominato, simbolicamente, Barone di Torre del Greco Giovanni Langella, un torrese di 86 anni di comprovata tempra morale e di modesta famiglia, che non poteva ambire a ripristinare la vecchia signoria. Con una grande processione il “Barone” prese possesso del Castello, vecchia residenza dei Capitani, e fu condotto a Santa Croce per la consacrazione, dove fu cantato in suo onore un “Te Deum”.
Il “Riscatto Baronale” fu una delle prime prove di “democrazia” in un’Europa che solo dopo un secolo lotterà per l’indipendenza, una rivolta pacifica e finemente burocratica, portata avanti da un popolo deciso ed unito per i propri interessi.