Quando Napoli diventò la città più popolosa d’Italia: ecco quanti abitanti raggiunse

L’Italia è sempre stato un Paese composto da città e sobborghi annessi. Con l’Unità d’Italia si sentì la necessità di disciplinare l’urbanistica territoriale con una legge, la n. 2359 del 1865, che regolasse le nuove costruzioni nei territori urbanizzati permettendo, contemporaneamente, l’estensione del territorio urbanizzabile. Le prime occasioni per applicare la nuova norma furono il trasferimento della capitale da Torino a Firenze e poi quello da Firenze a Roma. A Napoli i primi piani di risanamento vennero adottati nel 1885 e comportarono l’allontanamento di circa 60mila abitanti dai rioni popolari centrali verso la periferia. Si iniziarono le bonifiche per i quartieri che scendevano verso il mare, furono realizzati corso Umberto I, via Depretis e via Sanfelice, e fu completato il quartiere di Chiaia.

Agli inizi del Novecento il Parlamento varò una legge speciale per il “risorgimento economico” del capoluogo campano. Per promuovere industrializzazione, furono situati impianti produttivi sia a oriente che a occidente della città. In questo periodo storico, l’edilizia e le rendite immobiliari diventarono il centro dell’economia napoletana. Altre norme, che avevano l’obiettivo di sfruttare al meglio le aree fabbricabili, furono emanate alla fine della prima guerra mondiale. Nacquero così nuovi borghi, le città si ampliarono e il Regime Fascista si impegnò a dare case e terre da coltivare soprattutto al proletariato. Questo comportò una forte crescita demografica che vide, nei primi due decenni del Novecento, Torino raggiungere i 500mila abitanti, Milano i 771mila e Roma superare i 660mila. Ma l’espansione maggiore si ebbe nel Meridione. Catania e Taranto ebbero, rispetto all’Ottocento, una crescita demografica del 70 per cento.

E Napoli? Il capoluogo campano diventò la più grande città italiana con una popolazione che raggiungeva quasi il milione di abitanti. Il Regime istituì un Alto Commissariato per Napoli e aggregò al territorio cittadino otto comuni circostanti. Lo scopo era ridurre gli enti locali in modo da favorire il controllo sulle città. Dal 1930 iniziarono importanti lavori all’interno del capoluogo campano: fu colmata la calata di Santa Lucia per permettere la realizzazione del quartiere omonimo; si iniziarono i lavori per il rione Carità; fu realizzata la Stazione marittima per favorire lo sviluppo del porto e la Mostra d’Oltremare per ospitare manifestazioni ludiche; si svilupparono nuovi quartieri come Materdei e Posillipo. Le restrizioni degli spostamenti interni, imposte però dal Regime Fascista, frenarono nuovamente la crescita demografica napoletana fino a quando, nel secondo dopoguerra, vi fu una grande rinascita che portò Napoli a raggiungere, nel 1951, il traguardo del milione di abitanti e poi la punta massima di 1.227.000 abitanti nel 1971. La maggior parte della popolazione era addensata ancora in quello che ancora oggi chiamiamo Centro Storico.

In questi venti anni, dal ’50 al ’70, vi fu una forte speculazione edilizia che portò allo sconvolgimento del paesaggio originario distruggendo le aree verdi presenti sul territorio e saturando ogni centimetro edificabile. Un’ulteriore riqualificazione delle periferie, che interessò antichi casali e centri collettivi, si ebbe negli anni Ottanta, dopo il terremoto dell’Irpinia. In tutti questi anni, la densità demografica è rimasta abbastanza costante con una lieve diminuzione nell’ultimo periodo che ha portato la popolazione a essere poco sotto il milione.

Fonti: Michele Dau, “Mussolini l’anticittadino: Città, società e fascismo”, Roma, Lit Edizioni, 2012

Alberto Fabio Ceccarelli, “Prontuario tecnico urbanistico amministrativo”, Rimini, Maggioli Editore, 2013

“Napoli e dintorni”, Milano, Touring Editore, 2001

Vittorio Vidotto, “Italiani/e: dal miracolo economico a oggi”, Roma, GLF editori Laterza, 2005