La Juventus ha presentato ricorso contro la decisione del giudice sportivo di chiudere la curva bianconera per una partita. La sanzione è stata comminata in seguito agli ennesimi cori discriminatori rivolti ai napoletani e un coro razzista intonato ai danni di Koulibaly, in occasione del match di Campionato del 29 settembre scorso allo Stadium.
Una decisione incredibile che si pone come atto di difesa di comportamenti razzisti. Dal club bianconero, per bocca del legale Chiappero che ha scritto il ricorso, fanno sapere che non si può colpire tutti per colpa di pochi. Peccato, però, che ormai allo Stadium i cori contro i napoletani sembrino essere diventati la colonna sonora ufficiale delle partite casalinghe, con migliaia di persone che giulive accompagnano con i già citati cori le prestazioni dei loro beniamini. Cori che hanno così abituato l’ambiente bianconero tanto da spingere Allegri a dichiarare, nel post gara contro il Napoli, di non aver sentito nulla.
Ma facciamo un salto indietro nel tempo, in uno dei rari casi in cui anche il giudice sportivo si è accorto dei cori juventini contro i napoletani. Siamo nel novembre 2013 e durante la partita valida per la 12a giornata di Serie A i tifosi bianconeri si resero protagonisti di cori beceri, proprio contro il Napoli. Per i fatti, il giudice sportivo, “scongelando” una revoca precedentemente conquistata, decise di chiudere per due partite le curve dello Stadium.
La società bianconera, per l’occasione, decise di aprire contro l’Udinese la curva Nord ai bambini delle scuole (cosa invocata da molti anche in questo caso). Ottima iniziativa, lodata da tutti. Ma forse dice bene il proverbio “tale padre, tale figlio“. Infatti, durante la sfida con i friulani le “voci bianche” assiepate nella Curva, con tanto di professori a seguito, oltre ad intonare i soliti cori, presero di mira il portiere Zeljko Brkic. Risultato? I cori dei giovanissimi, età massima 14 anni, costarono alla Juventus 5mila euro di multa e una figuraccia interplanetaria.
A Torino si dissero indignati allora come oggi, ma è evidente che la difesa “sono solo quei pochi” non regge e che più di una ragazzata o “rivalità sportiva” si tratti di un serio problema culturale.