Ieri sera sono andate in onda le ultime due puntate della serie televisiva “Gomorra”, la quale ha avuto un successo di telespettatori clamoroso e che, d’altra parte, ha cominciato a far parlare di sé già prima che iniziasse la sua messa in onda. Molte sono state le critiche che Roberto Saviano, la produzione, la distribuzione e lo staff, attori compresi, hanno ricevuto sin da quando ha cominciato a circolare la notizia delle riprese, da parte soprattutto degli abitanti e delle associazioni presenti nel territorio di Scampia, luogo dove sono ambientate la maggior parte delle scene dei dodici episodi. Il timore era quello che Scampia, ancora una volta, fosse pesantemente penalizzata dalla serie, e a Saviano è stato rimproverato il fatto di raccontare una realtà non più vera, corrispondente a quella di quasi un decennio fa. Lo scrittore, da parte sua, ha reagito affermando come sia essenziale raccontare la realtà, amareggiandosi per le critiche giunte prima di guardare la serie, aggiungendo che Scampia non era stata ritratta come sede del male, poiché le riprese sarebbero state fatte anche in altre parti d’Italia e all’estero. Ebbene, la prima stagione è terminata, io l’ho vista tutta e credo di essere pertanto autorizzato a esprimere un primo giudizio, il quale diverrà definitivo dopo la fine della seconda stagione, il prossimo anno.
Guardando il trailer si può leggere che “Ci sono luoghi dove il male ha un nome antico come la Bibbia: Gomorra. Il male è tra noi”, e il timore, espresso commentandolo, è che questa serie non bilanciasse in alcun modo ciò che di brutto c’è a Scampia: si deve raccontare, ma bisogna fare attenzione agli effetti che il racconto produce nella realtà. Nella realtà è accaduto, ad esempio, che viste le prime due puntate, i genitori di 40 ragazzi di Bolzano hanno disdetto la permanenza in un bene confiscato sito a Chiaiano, gestito da (R)estistenza anticamorra, vanificando il lavoro di giovani che si espongono e lottano contro la camorra, che avevano già disposto tutto per il vitto e l’alloggio degli studenti (a tal riguardo, rinnoviamo la vicinanza a Ciro Corona e alla sua associazione). Nelle scene girate a Milano i malavitosi entrano in contatto con i cittadini “normali” soltanto una volta, per corrompere una persona che si dimostra onesta e chiama la polizia; nelle scene girate in Spagna, vediamo l’attività soltanto dei criminali, napoletani e russi. A Scampia, le cui vele vengono inquadrate diverse volte, invece si assiste alla connivenza degli abitanti del quartiere, che spenno vanno a cercare essi stessi l’aiuto del camorrista, che a volte si sostituisce allo Stato come riferimento presso cui cercare giustizia.
Marco D’Amore, l’attore che interpreta Ciro Di Marzio, sostiene che si vede solo il male nella serie perché quella è la visuale dei camorristi: i camorristi vedono solo il male e quello si è scelto di raccontare. Io sono d’accordo con la sua analisi, e sono assolutamente consapevole che il suo intento, come quello di Roberto Saviano, non è quello di recare male a Scampia e a Napoli in generale, ma non si deve sottovalutare il pericolo di emulazione dei criminali, nonché ancora una volta le conseguenze che quel racconto ha nella realtà. Vedere gli adolescenti citare per filo e per segno il boss di Gomorra non è un buon segnale, e ricorda ciò che Saviano stesso scrive nel suo libro, circa i camorristi che vedono il proprio modello nel Tony Montana di Scarface. Poi è ovvio che se la gente coglie un messaggio distorto, che non c’è, le responsabilità non sono degli autori, ma questi non possono pretendere di non fare i conti con la realtà.
La soluzione non è stare zitti, non è rinunciare a raccontare, ma è lavorare in modo che Napoli non sia pesantemente penalizzata mediaticamente. Roberto Saviano pretende, giustamente (ricordo ancora una volta che egli, per il suo impegno, vive da anni sotto scorta senza praticamente vedere la luce del sole, e per questo merita il sostegno di tutti) di raccontare la realtà, ma con la realtà, quella che crea con la serie di Gomorra, sembra non voler fare i conti.