Società

“A Napoli non si denuncia”, è veramente così? Il Ministero dell’Interno dice tutt’altro

Pubblicate le classifiche dei reati in Italia nel 2018, ed è subito polemica.

Secondo quanto riportato dai dati del Ministero dell’Interno, e di conseguenza divulgato dal Sole 24 Ore, è Milano la città più pericolosa d’Italia, quasi il doppio dei reati in percentuale rispetto a Napoli. Seguono a ruota, come gli altri anni, Rimini, Firenze, Bologna, Torino, Genova, Parma, Modena, e così via. Napoli al 17esimo posto, e non è prima in moltissime reati analizzati: per gli omicidi è al 36esimo posto (con 0,7 omicidi ogni 100.000 persone), rispetto a Trieste e Mantova che primeggiano in questi dati.

Per frodi informatiche ritroviamo, Trieste, Gorizia, Milano, Belluno e poi Torino; Napoli è al 76esimo posto per violenze sessuali, quasi tre volte di meno, in percentuale, rispetto a molte grandi città del Nord. Per spaccio di stupefacenti si trova al 38esimo posto, primeggiando le città del Nord.Per non parlare dei furti d’auto, in cui primeggiano Roma e Milano, e per quanto riguarda l’evasione, solo Padova evade 654 milioni di euro (più di tutta la Svezia), come riportato dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti, e in molte testate italiane.

Nessuna gara in queste classifiche, i dati sono drammatici da Nord a Sud, e certamente le grandi metropoli sono più a rischio reati, come in tutte le metropoli del mondo, ma una cosa è certa: “i luoghi comuni vanno sfatati”.

“A Napoli non si denuncia”, la frase più recente. Ma la domanda è una: in un mondo sempre più tecnologico e controllato, come si fa a non denunciare? Come si può non denunciare il furto di un’automobile o di uno scooteer, se l’assicurazione non ti paga o per il rischio che i mezzi vengano utilizzati per fare qualche rapina? Come si può non denunciare il furto del portafogli, in cui ci sono tutti i documenti, le carte di credito, oppure il furto di un cellulare, che magari stai ancora pagando, o per il blocco della scheda. Come si può non denunciare un omicidio, oppure un furto in appartamento? Lo stesso riguarda la criminalità organizzata, con associazioni anti-racket, sempre più numerose e presenti sui territori.

Non è vero che il Sud è la terra del crimine per eccellenza e non è vero che Napoli è la città più pericolosa d’Italia. Non lo dice VesuvioLive, ma i rapporti redatti negli ultimi anni dal Ministero dell’Interno, il quale tende a sottolineare spesso che “gli italiani sono vittime di false dicerie”.

Ma quali sono il motivo e la causa? Nel libro “La parte cattiva dell’Italia – Sud, media e immaginario collettivo” di due sociologi e docenti dell’università del Salento, Cremonesini e Cristante (di Venezia), riportano studi, giunti anche in alcune interrogazioni parlamentari: “del Sud, nei media, si parla solo per il 10%, e di questo 10%, l’88% di cronaca nera, il 3 % divisa tra grigia e bianca, e solo per il 9% di quel 10%, si parla di cose positive”.

È chiaro che, accendendo la tv, italiani e stranieri possano pensare che a Napoli e al Sud succedono solo cose negative, per non parlare di quando “la realtà viene accentuata” in moltissime fiction, inutile fare i nomi, trasmesse in tutto il mondo, e con il telespettatore che si chiede: “ma allora è vero quello che si dice sul Sud? Ma lì al Sud è veramente così?”. Tutto questo, ripetuto per generazioni, magari per 160 anni, può essere preso per vero. Ed ecco cosa sono quindi i luoghi comuni.

A “l’Arena” di Giletti su Rai Uno, il 12 marzo 2017, era presente Gennaro de Crescenzo, presidente del Movimento Neoborbonico. Si parlava dei titoli razzisti di Libero verso il Sud, dei luoghi comuni, ed il presentatore replicò: “tutto il mondo è paese, poi ci sono casi dove tu hai le telecamere, e puoi sfruttarle dal punto di vista televisivo”. Una frase in passato molto dibattuta, specialmente nel mondo meridionalista, che spiega esattamente la funzione dei media nazionali che spesso, è chiaro, devono seguire certe linee. Se si vogliono avere notizie relative alle città del Nord, bisogna per forza consultare testate “locali”, e non “nazionali”.

Di seguito una parte del “Rapporto Criminalità” recente del Ministero dell’Interno, il quale evidenzia testualmente che il teorema delle mancate denunce al Sud è falso, e che questi luoghi comuni si protraggono dalla fine dell’Ottocento, praticamente periodo figlio delle ideologie di inferiorità criminale di Cesare Lombroso, propagandato poi dall’opinione pubblica, dai primi anni dell’Italia unita fino ai giorni nostri, in cui si fa ancora fatica a credere che esista la “criminalità padana”, e non soltanto quella “terrona”, e maggiormente “napoletana”.

“Ogni reato ha una sua precisa distribuzione a livello territoriale – riporta il ministero – che è riconducibile a quelle caratteristiche che distinguono i borseggi dagli scippi e dai furti in appartamento. Ad esempio, questi ultimi sono più diffusi al Nord, mentre al Sud si rileva un maggiore numero di scippi. Questa è un’osservazione importante da tenere a mente perché smentisce l’opinione comune che tutti i reati siano in larga misura più frequenti nel Sud rispetto al Nord Italia.

“Si tratta di una credenza piuttosto diffusa e duratura nel tempo che si può far risalire alla scuola positivista italiana alla fine del XIX secolo quando venivano attribuiti i più alti tassi di delinquenza – sia violenta che contro la proprietà – al meridione sulla base di aspetti razziali e indicatori socioeconomici delle due aree geografiche. […]

Ciò non dipende, come sostengono alcuni, da una diversa propensione a denunciare i reati subiti da parte dei cittadini sulla base di un supposto maggior senso civico di chi vive nelle regioni settentrionali. Le indagini di vittimizzazione hanno infatti mostrato che si denuncia di più, quanto più alto è il valore della refurtiva e quando è stata stipulata una relativa assicurazione. I diversi tassi di furti, scippi e borseggi tra Nord e Sud si spiegano meglio sulla base delle opportunità che si presentano sul territorio e in base agli stili di vita e alle attività della popolazione”.

Quando si trova un meridionale che pensa di appartenere ad una “razza inferiore”, elogiando altre popolazioni che non sono da imitare, si chiama “sindrome da impotenza appresa”. Dall’altra parte, chi prova a tenere in cattiva luce un territorio esterno al proprio, si identifica pienamente nel “razzismo”, in quanto ha certamente degli interessi che certe credenze rimangano così.

Accettiamo la realtà, le false credenze sono spesso più forti dei dati veri; ma dobbiamo fare di tutto affinché questi dati migliorino sempre di più. Non esiste una terra migliore di un’altra, ma è il benessere di un popolo l’unico vero obiettivo da raggiungere.

Emilio Caserta, giornalista e responsabile ufficio stampa istituzionale. Direttore de "L'Identitario - Quotidiano Indipendente", collaboratore di Vesuviolive ed altre testate giornalistiche locali e nazionali. E' Coordinatore giovanile Nazionale del Movimento Neoborbonico, laureato in Economia e Commercio e proprietario del sito e-commerce identitario www.bottega2sicilie.eu e socio fondatore del 'Caffè Identitario' a Napoli. Appassionato di storia di Napoli e Sud (in particolare dal periodo del Regno delle Due Sicilie a quello Risorgimentale Post-unitario), Attivista del "Comprasud" per la difesa dei prodotti e delle aziende presenti sul territorio meridionale dall'Abruzzo alla Sicilia, collabora con diverse associazioni di beneficenza territoriale.