Simona torna a Napoli da Londra per creare un brand di moda: “Sono fiera di essere nata qui”

Tiene ‘o core ‘e nun turnà?

Un verso di Torna a Surriento, uno dei testi più famosi e struggenti della Canzone Napoletana che riassume la storia di Simona Esposito, stilista partenopea che nonostante l’occasione di farsi conoscere e avere successo a Londra è tornata nella sua città, Napoli, mossa dall’amore e dall’ispirazione che solo chi è nato qui può comprendere e interiorizzare fino in fondo.

La storia di Simona non è però quella banale, spesso costruita, di chi esprime elogi non sentiti per tentare di conquistare i favori dei concittadini. Lei, infatti, non ha sempre avuto un rapporto tranquillo con la città ed i suoi abitanti di cui riconosce i pregi ed i difetti, senza cui d’altra parte Napoli non sarebbe quella città così splendida nella sua assurdità, così assurda nel suo splendore. Contrasti dai quali viene l’ispirazione, come il sole accecante e duro dell’estate che, però, fa diventare i basoli delle strade dorati e dolci come il miele.

Una scommessa fatta di talento e coraggio, quello di lasciare la capitale inglese e certamente tra le maggiori metropoli del mondo per tornare al Sud, dove sì, la vita non è scandita dalle corse della metropolitana, ma anche tremendamente più complicata.

Il coraggio di tornare a Napoli creando un proprio brand, Zimon, specializzato nella creazione su misura di capi in pelle (ma anche accessori) dedicati alla donna petite, coniugando l’armonia delle forme del corpo femminile con il carattere di un materiale che non passa mai inosservato. È come unire l’apollineo e il dionisiaco, eros e thanatos, la luce e le ombre, il mare ed il fuoco del Vesuvio. È il carattere napoletano trasmesso, nel caso di Simona, nella maniera di pensare e guardare una donna.

Sei molto legata alla tua terra, tanto è vero che specifichi che tutti i tuoi capi sono fatti a mano in Southern Italy, Naples. Potrebbe essere vista come una scelta coraggiosa visto che Made In Italy è una delle diciture più famose al mondo. Perché hai voluto fare questa distinzione?

È vero, sono coraggiosa. La distinzione nasce dal voler enfatizzare la nostra cultura / napoletanità / le nostre origini. Siamo un’eccellenza e credo che l’impresa adesso la faccia l’artigiano che punta sulla cura nel dettaglio e la qualità dei materiali. Smentiamo i luoghi comuni.

In che modo Napoli si riflette nella tua ispirazione?

L’ispirazione me la danno i napoletani, oltre alla natura inconfondibilmente spiazzante quando ti fermi a osservarla (il Maschio Angioino mi fa sempre quest’effetto). Il loro modo di fare, la loro allegria e spontaneità, la bontà, il problem solving, la generosità, la furbizia, la cazzimma, la simpatia, sono caratteristiche che mi affascinano e nelle quali spesso mi rivedo nonostante sia diventata con il tempo più diffidente e meno affettuosa. È come se poi mi fermassi e dicessi a me stessa “Jamme, sforzati un pochino”. Specialmente tra i bassi napoletani, così profumati e così “scostumati” allo stesso tempo, mi rendono fiera di essere nata in questa città.

A Londra hai frequentato la Central Saint Martins, una delle scuole più prestigiose al mondo. Lì, quasi certamente, sarebbe stato molto più semplice vendere i tuoi abiti, però a un certo punto hai deciso di tornare a casa. Perché?

Non è del tutto vero. La vendita è un processo lungo, ma sicuramente breve rispetto alla fase di produzione ed ideazione. A Londra volevo essere indipendente e iniziare un periodo del genere, di creatività, non mi avrebbe concesso il tempo di guadagnare il ‘pane da portare a casa’. È una città molto cara e non me la sarei potuta permettere. Allo stesso tempo non vedevo l’ora di rientrare in patria dalla mia famiglia e dai miei amici e godermi finalmente Napoli, come non avevo mai fatto prima.

Qual è il capo a cui sei più affezionata?

Il capo a cui sono più affezionata è l’abito Zimon, ed è ovviamente questo il motivo per cui l’ho chiamato così. Rispecchia a pieno le forme del corpo femminile e le mette in risalto, ha una scollatura pronunciata, è di una femminilità e sensualità sfacciate. Mette in risalto i fianchi, li accentua e i lacci sul punto vita valorizzano qualsiasi tipo di forma. Il senso che ho dato alla linea non è solo quello di vestire qualsiasi corpo, ma anche quello di accentuare la forma laddove non sia marcata.

Nel tuo lavoro collabori con alcune persone che, oltre a essere artigiani abilissimi, sono espressione di una napoletanità verace. Parli un po’ di loro?

Salvatore e Maria, li amo. Appena trasferita ai Quartieri Spagnoli ho vissuto un’esperienza quasi mistica. Mi sembrava di essere in un altro mondo. Tramite un’amica artista con la quale ho condiviso l’ambiente lavorativo del LAB (dove ho lavorato a Zimon), conosco Salvatore, un uomo d’altri tempi, come piace a me, affettuoso gentile e lavoratore, quello di cui avevo bisogno. È un artigiano della pelle e richiestissimo nel suo settore. Maria, invece, macchinista della pelle, è una donna dolcissima, dai sani principi, anche grazie a lei ho sempre la conferma che sono stata fortunata a trovarli.

Il tuo rapporto con Napoli non è stato sempre idilliaco. Cosa ha fatto scattare in te il senso di appartenenza, e cos’hai provato quando hai realizzato di aver deciso di tornare?

Sì, vivevo una guerra. Difendevo ed accusavo Napoli allo stesso tempo, poi ho imparato ad apprezzare le piccole cose, i piccoli gesti, la napoletanità di cui parlavo prima. Semplicità. Quando ho realizzato di voler tornare mi sono fatta un lungo pianto e poi ho tirato un sospiro di sollievo.

Vuoi raccontare che provavi i primi giorni in cui ti sei ritrasferita?

Gioia, spensieratezza, ma anche ansia. Scattò in me la responsabilità nei confronti di quello che avrei intrapreso di lì a poco, come un progetto pieno di soddisfazioni ma anche delusioni. Tralasciando il cibo… poter smettere di desiderare qualcosa e poterlo avere a tua disposizione, sempre, è n’ata cosa.

Luciano De Crescenzo diceva di essere stato fortunato a nascere a Napoli.

Siamo fortunati nella sfortuna. Sfortunati solo perché ci dipingono così però. Tutti noi, in fondo, sappiamo quanto valiamo come popolo, tutto sta nel fare qualcosa (nel nostro piccolo) e renderci migliori, rendendo Napoli migliore.

Napoletano, 365 giorni l'anno.