Dopo l’appello di metà mese in cui cercò di rivolgersi direttamente ai camorristi (“Convertitevi, state uccidendo Napoli“), l’arcivescovo della città partenopea torna a parlare della criminalità organizzata. Parole dure, forti, che servono a scuotere le coscienze e a spronare i giovani che necessitano di un futuro migliore, lontano dalla malavita.
Intervistato da Domenico Agasso per ‘La Stampa‘, Don Mimmo Battaglia ha ribadito un concetto preciso:
“La camorra è un’ombra che oscura Napoli. Dobbiamo dircelo senza ipocrisie. E affrontare i nostri problemi subito, insieme, con senso di responsabilità, Chiesa compresa, chiamata a uscire dai sacri recinti. Così arriverà presto una nuova alba“.
Sono tanti i problemi che affliggono Napoli, croce e delizia, paradiso e inferno in terra. Per Don Mimmo la chiave di tutto sono i giovani, da educare sin da piccoli:
“La disoccupazione, la camorra, l’emergenza educativa, la marginalità di fasce intere della popolazione non possono essere ignorate. La crisi pandemica ha fatto emergere con evidenza queste difficoltà. Questa è l’ora della responsabilità. Lo dobbiamo a noi stessi ma soprattutto dobbiamo essere responsabili per le nuove generazioni. Partire da loro e con loro è fondamentale: per questo occorre rimettere al centro la sfida educativa, creando rete, dando vita ad una comunità educante in cui famiglie e scuola, comunità cristiane, istituzioni, terzo settore, associazioni e volontariato, possano dar vita ad una sorta di villaggio educativo globale. In questo modo non si lavora solo al futuro dei bambini e dei giovani ma al presente della città, alla sua sicurezza che può essere garantita solo da una cultura di vita, fatta di lavoro, impregnata da un’etica della cura, capace di sottrarre al fascino della criminalità e del guadagno facile“.
Da sempre considerato un prete di strada che preferisce parlare e stare tra la gente rispetto a rinchiudersi nelle sagrestie, il successore del Cardinal Sepe ha risposto in modo preciso al giornalista che gli chiedeva: non ha qualche timore per la sua persona in una diocesi segnata dai problemi di criminalità?
“Non ho paura. So in chi ho posto la mia speranza. Il mio percorso di prete e di vescovo è legato al volto di tanti ragazzi, poveri, emarginati, sofferenti: sono loro che mi hanno convertito alla logica del Vangelo, così diversa da quella del mondo. Nel giorno del mio ingresso ho raccontato di Stefano, un ragazzo con problemi di dipendenza, morto di Aids. L’incontro con lui, l’abbraccio con lui cambiò la mia vita e la sua, insegnandomi il coraggio di vivere fino in fondo, guardando in faccia la morte per abbracciare la vita. Avendo fiducia nella potenza dell’amore. In fondo è anche quello che fa un martire, anche quello che ha fatto San Gennaro: non temere la morte per abbracciare la vita. Il significato sta tutto qui: nell’amore. Che sconfigge ogni morte. Che ridesta la vita“.