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Alberto Grandi, professore dell’Università di Parma: “La pizza come la mangiamo oggi è nata in America”

La pizza come la conosciamo oggi non sarebbe nata a Napoli, ma in America ed “importata” da noi a partire dagli anni ’50. Lo afferma il professor Alberto Grandi, docente di storia dell’alimentazione all’Università di Parma, intervistato da Il Fatto Quotidiano. Il professore ha scritto un libro dal titolo Denominazione di Origine Inventata in cui intende sfatare i miti che riguardano la cucina italiana, e tra le specialità di cui vuole ridimensionare la portata inventiva degli italiani vi è la pizza.

“Quella che conosciamo e mangiamo anche oggi – afferma Grandi – è nata in America e fino agli anni ’50 gran parte degli italiani non la conosceva. Se ne parlava quasi come si trattasse di un piatto esotico. Insomma, vero che la pizza è nata a Napoli ma si trattava di una pizza bianca, senza pomodoro e mozzarella, ricca di aglio e olio, mangiata per strada. Una sorta di street food primordiale”.

La pizza con pomodoro e mozzarella in realtà si faceva già nel 1858

Ci dispiace per il professor Grandi di cui non vogliamo mettere in discussione le conoscenze, ma occorre fare delle precisazioni. Innanzitutto la pizza napoletana è diversa dalla pizza “italiana” e soprattutto da quella americana. È vero che la prima pizza, nata a Napoli, era bianca: si tratta della Marinara del 1734 ed era fatta con acciughe, capperi, olive di Gaeta e origano. Il pomodoro e la mozzarella di bufala sarebbero stati aggiunti dopo, tra il 1796 ed il 1810, grazie alla coltivazione del pomodoro lungo (importato dal Sud America ed allora considerato non commestibile, ma pianta ornamentale; solo giungendo a Napoli è stato rivalutato, coltivato e migliorato fino a farlo diventare com’è oggi) e all’impulso dato all’allevamento di bufale da re Ferdinando di Borbone, il quale fece addirittura costruire dei forni nella Reggia di Capodimonte proprio per preparare la pizza. Si tratta proprio della Margherita, che si preprava così decenni prima dell’Unità d’Italia e ben prima della visita della regina Margherita a Napoli. Ad ogni modo, citando fonti affidabili, abbiamo il filologo Emmanuele Rocco che nell’opera Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti del 1858 descrive una pizza condita con pomidoro, sottili fette di muzzarella e foglia di basilico. Siamo, quindi, circa un secolo prima rispetto al periodo considerato dal professor Grandi.

La pizza era comunque un alimento conosciuto e consumato a Napoli. Con la massiccia emigrazione di napoletani in America, anche gli altri emigrati dall’Italia hanno imparato a conoscerla e l’hanno a loro volta ri-esportata nei luoghi d’origine. Dunque è vero che la maggior parte degli italiani non conosceva la pizza fino agli anni ’50, ma non si può dire che quella che mangiamo oggi derivi da una invenzione/rivisitazione americana, ammesso che si parli di pizza, quella vera, napoletana. Forse il discorso del professor Grandi potrebbe essere valido per le pizze preparate nel resto d’Italia, condite in qualsiasi modo e preparate con impasti che non hanno quasi nulla a che vedere con quello tradizionale partenopeo.

La differenza di diffusione della pasta a Napoli e nel resto d’Italia

Un altro errore, che consiste ancora nel considerare come unitarie le abitudini alimentari degli italiani, Grandi lo ha commesso parlando di pasta: “Che per la diffusione della pasta in Italia sono stati fondamentali gli americani, che il Regime fascista non l’amava e che il vero Parmigiano viene fatto nel Wisconsin”. Ancora una volta, non viene citata l’origine napoletana della pasta, ed in particolare i pastifici di Torre Annunziata e Gragnano. I “maccaroni” erano amatissimi dai napoletani, tanto che Giacomo Leopardi nel 1835 biasimò questa loro passione nell’opera Nuovi Credenti. Gioacchino Rossini, invece, grazie all’incarico di direzione del San Carlo si innamorò della pasta che consumava con estremo piacere e regolarmente.

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