Oggi trentatré anni dal terremoto dell’Irpinia


Chissà se oggi sarà ricordata la tragedia che trentatré anni fa colpì la nostra terra ed in particolare l’Irpinia con la stessa enfasi con cui ieri si è commemorata la morte del presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy. La scossa sismica, che causò circa 3.000 morti, 280.000 sfollati e più di 8.000 feriti, durò circa un minuto e mezzo, un’eternità. Il trentaquattresimo minuto dell’ora diciannove fu tremendo, durò più degli altri minuti. Tutte le persone che ebbero la sfortuna di vivere quel tragico evento ricordano con precisione cosa stavano facendo. Le strade erano semideserte e quasi tutti erano in casa, ovvero nel luogo che ognuno crede che sia  il più sicuro per sé, ma la morte arrivò fin lì.

Via Stradera, nel quartiere Poggioreale di Napoli, divenne subito il simbolo del dramma: nel palazzo di nove piani che cadde su se stesso, come un castello di sabbia, morirono più di cinquanta persone. “Fate presto” pubblicherà in prima pagina Il Mattino qualche giorno dopo,  “per salvare chi è ancora vivo, per aiutare chi non ha più nulla“. Memorabili le parole del presidente Sandro Pertini che redarguì sui ritardi dei soccorsi.

La foto della prima pagina de Il Mattino accompagna oggi i passeggeri della metropolitana di Napoli nell’interscambio della stazione Cavour, come a ricordare cosa significò vivere allora in quel periodo tra freddo, fame, disoccupazione e sciacalli. Eh già, gli sciacalli, ci sono sempre stati nel nostro paese ma ancor più quando avviene una tragedia. Con questo appellativo viene designato chi approfitta delle case abbandonate per intrufolarsi con la speranza di portar via qualcosa di utile o prezioso. Ma non sono solo questi gli sciacalli, ci sono altri peggiori, che fanno più male.

Quest’evento naturale, infatti, subito fece mettere in moto le sanguisughe. Molti già sentirono il profumo dei soldi con gli appalti della ricostruzione. E’ infatti in seguito al terremoto che ebbe genesi uno degli affari più sporchi della storia dell’Italia repubblicana: il sequestro dell’assessore democristiano all’Urbanistica in Campania Ciro Cirillo – prelevato con forza nel garage della sua abitazione a Torre del Greco, in Via Cimaglia, il 27 aprile 1981 da un commando della colonna di Napoli delle Brigate Rose guidate da Giovanni Senzani – e la conseguente trattativa per la sua liberazione. Cirillo fu ritenuto dai terroristi come “l’ideatore della deportazione dei proletari” che furono sistemati nella roulottopoli alla Mostra d’Oltremare. Subito dopo il sequestro si aprì la trattativa tra la Democrazia Cristiana, i Servizi Segreti e la camorra di Raffaele Cutolo. Quante infrazioni per salvare la vita di Cirillo mentre tre anni prima nessuno mosse un dito per salvare quella di Aldo Moro!
Cirillo fu liberato nel luglio 1981, le Br guadagnarono 1 miliardo e 450 milioni di lire, un’enormità in quegli anni. Anche la camorra ebbe il suo bel tornaconto con gli appalti e, forse, con tanti soldi.

Tutto questo accadeva mentre la gente che aveva subito il sisma era abbandonata, marginata, attanagliata tra fame e disoccupazione. Quella foto nella metropolitana dovrebbe servire a ricordare tutto quello che provocò il terremoto. Accanto ad essa  bisognerebbe metterne un’altra che ritragga i protagonisti delle speculazioni con le mani piene di soli. Gentaglia che vive sulle spalle della povera gente.


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