Nacque a Piracicaba, in Brasile, il 24 luglio del 1938 in una famiglia molto povera, da papà Gioacchino e mamma Maria entrambi italiani emigrati in Sud America. Mosse i primi passi da giocatore tra le file del XV de Piracicaba: una squadra minore della sua città natale. Ivi fu coinvolto in un curioso episodio: nella sede del club è infatti tutt’ora affissa una foto del Grande Torino e, vista la somiglianza con Valentino Mazzola, gli fu attribuito il soprannome di ‘Mazola’. Nel luglio del ’55 passò al Palmeiras con cui fece il suo esordio in massima serie divenendo a 17 anni, 6 mesi e 5 giorni il più giovane marcatore nella storia del club bianco-verde. In 2 anni Altafini giocherà 114 partite mettendo a segno 85 reti e confermandosi come uno dei più prolifici prospetti brasiliani.
Nel ’58 venne acquistato dal Milan per 135 milioni delle vecchie lire. Il 27 marzo del 1960 segnò una quaterna nel derby contro l’Inter (5-3) divenendo così l’idolo di un’intera tifoseria. In sette stagioni a Milano vinse due scudetti (1958-’59 e 1961-’62) e una Coppa dei Campioni (1962-’63) stabilendo il record di 14 reti realizzate in un singolo torneo (di cui due in rimonta nella finale di Wembley vinta per 2-1 contro il Benfica). Un primato rimasto vivo fino alla stagione 2013-’14 quando sarà poi battuto da Cristiano Ronaldo (17 gol).
Nel ’65 passò al Calcio Napoli dove per 3 anni (fino al 1968) formò assieme all’italo-argentino Omar Sivori il cosiddetto “Duo delle Meraviglie”. Il 31 dicembre del 1967, in occasione di un Napoli-Torino conclusosi 2-2, realizzò uno splendido gol in rovesciata che mandò in visibilio la tifoseria partenopea accorsa quel giorno al San Paolo. In quello stesso anno contribuì al raggiungimento del secondo posto: l’allora miglior piazzamento della storia azzurra. In 7 anni all’ombra del Vesuvio il suo bilancio è stato di 97 reti siglate in 234 partite.
Nell’estate del 1972, a 34 anni, approdò alla Juventus assieme al compagno di squadra Dino Zoff. Qui fu protagonista della vittoria di due scudetti (1972-’73, 1974-’75) risultando spesso proficuo entrando dalla panchina. Della sua militanza in maglia bianconera si ricorda, in particolare, un gol messo a segno nel finale di una partita vinta per 2-1 proprio contro il Napoli che valse lo scudetto. Pochi giorni dopo la partita, su uno dei cancelli di accesso al San Paolo apparì la scritta “Josè core ‘ngrato” ricordando i trascorsi azzurri dell’attaccante. Poi le avventure nel Chiasso e in Svizzera nel Mendrisiostar dove, a 42 anni, chiuse la sua carriera da giocatore.
In nazionale vestì sia la camiseta del Brasile (con cui vinse il mondiale svedese del 1958) che la maglia dell’Italia con cui però non ottenne alcun tipo di successo. Da quasi 40 anni collabora come commentatore televisivo presso le migliori emittenti televisive italiane e brasiliane: il suo ‘che golaço!’ è così diventato un vero e proprio marchio di fabbrica. C’è una cosa però che, ancora oggi, non gli fa dormire sogni tranquilli…:
“Mi hanno chiamato “Core ‘Ngrato” per una vita a Napoli. Il passaggio di Higuain alla Juve mi ha parzialmente liberato da questa maledizione. La prima volta che tornai al San Paolo con la maglia bianconera fu terribile: mi fischiarono fino alla morte! Non lo dimenticherò mai…“
Ma il calcio è anche questo. Tanti auguri, Josè!