Giornata di rimpianti e riflessioni in casa Napoli, dopo la cocente eliminazione ai quarti di Champions League arrivata ieri sera allo Stadio Maradona. Nonostante due partite di livello, gli azzurri non sono riusciti a superare il Milan che approderà così dopo 16 anni ad una semifinale iridata.
Il Calcio Napoli lascia una competizione che l’ha visto protagonista fin dalla prima giornata del girone, quando con un clamoroso 4-1 si sbarazzò del Liverpool. Da quel momento, gli uomini di Spalletti hanno inanellato una serie di risultati roboanti, che hanno ribaltato le gerarchie europee andando ad insidiare le certezze di vittoria dei grandi club.
Ci voleva solo una trappola, per frenare il cammino inarrestabile di Di Lorenzo e compagni, soprattutto alla luce dell’ultimo sorteggio, con il Napoli per una volta dalla parte giusta del tabellone assieme a Milan, Inter e Benfica, e le big a farsi guerra dall’altro lato. Il cammino verso la finale di Istanbul sembrava spianato, nell’incredulità del popolo azzurro, già inebriato dalla imminente festa Scudetto.
E trappola è stata. Il blasone del Milan, i problemi di ordine pubblico di alcune partite pregresse (anche quelli subiti dalla città e causati da altre tifoserie, vedi il caos creato dagli Ultras del Francoforte), la possibilità di avere un derby della Madonnina in semifinale nella capitale commerciale del paese. Il Napoli era diventato un problema. Serviva qualcuno che potesse fermarlo.
All’andata ci ha pensato Istvan Kovacs: il rumeno a San Siro ha diretto la gara in maniera scandalosa, penalizzando e decimando gli uomini di Spalletti. Al termine della partita, Rosetti ha completato l’opera simulando una sospensione senza senso quanto fasulla fino a fine stagione per accontentare De Laurentiis e la dirigenza imbufalita: Kovacs infatti non fa parte della top 10 degli fischietti UEFA, e a prescindere dalla partita di San Siro non avrebbe più arbitrato fino a fine stagione, mancando solo semifinali e finale.
Dopo giorni di polemiche, il designatore di Torino decide di mandare il polacco Marciniak, arbitro dell’ultima finale di Coppa del Mondo giocata a dicembre in Qatar tra Argentina e Francia, per spegnere qualsiasi tipo di mormorio che si stava insinuando a palazzo. Un direttore di gara d’esperienza ed autoritario a tal punto da fischiare senza pensarci il netto rigore al Milan (sbagliato da Giroud) per fallo di Mario Rui su Leao, salvo poi non riuscire a vedere la falciata dello stesso Leao su Lozano a fine primo tempo sul punteggio fermo sullo 0-0.
E il VAR cosa fa? Si deresponsabilizza, sfruttando il blasone di Marciniak per non richiamarlo alla on field review, ignorando il contatto e privando il Napoli del potenziale gol del vantaggio, che avrebbe riportato in parità una sfida dominata.
Si poteva fare di più, questo è certo. Si doveva segnare all’andata e realizzare il penalty a 10′ dal termine che avrebbe dato un senso diverso al finale di partita. Bisognava, forse, essere meno scomodi.