Calcio Napoli

Kvaratskhelia risponde a padre e agente: “Faccio sorridere i georgiani giocando per il Napoli”

A poche ore di distanza dalle controverse dichiarazioni rilasciate da Mamuka Jugeli, agente di Khvicha Kvaratskhelia, e il padre Badri, il talento georgiano è tornato a parlare attraverso un’intervista pubblicata dalla rivista The Players’ Tribune.

A poche ore dall’esordio ad Euro 2024, il calciatore della SSC Napoli ha raccontato la sua esperienza in azzurro.

Kvaratskhelia risponde a padre e agente: “Faccio sorridere i georgiani giocando per il Napoli”

“Venire a Napoli è stato tutto merito di Badri. Sta parlando di mio padre. Il suo idolo era Maradona. E mio padre….è stato un buon giocatore, anche lui. Ha giocato in Azerbaijan.

Quando ero un bambino, guardavo sempre i suoi video e per me era il miglior calciatore del mondo. Se qualcuno mi parlava di Messi o di Ronaldo, io rispondevo: “No, no, no…mio padre è più forte”.

 Quando ero bambino, mio padre parlava sempre di Maradona come se fosse un Dio. Perciò quando il mio agente mi ha detto dell’interesse del Napoli, non stavo nella pelle dalla gioia. Ero così felice.

Ma mio padre? Incredibile. Mio padre urlò: “Non puoi dire di no al Calcio Napoli. Non puoi dire di no al club di Maradona!” Quindi non abbiamo dovuto pensare gran che. Non c’era niente da discutere”.

Devi andare”. Non posso nemmeno descrivere le sensazioni. Ho detto: “Andiamo. Subito. Devo andare lì”. Quando sono arrivato a Napoli, la prima cosa che mi hanno detto i miei compagni è stata: “Devi cantare”. A cena. È una tradizione.

Devi cantare una canzone. Lo fanno tutti i nuovi arrivati, come una sorta di iniziazione. Ok, non c’è problema. Ma prima di me toccò a Kim Min-Jae e fece…come si chiamava pure?” “Gangnam Style”. Fu bravissimo. Davvero straordinario. Ora sentivo la pressione su di me.

Perciò ho semplicemente scelto una canzone. Anni prima, quando ero al Rubin Kazan in Russia, uno dei nuovi arrivati cantò questa canzone alla sua prima cena. Era bella, mi piaceva. Non conoscevo quella canzone, ma mi sono detto: “Magari, la prossima volta che cambierò squadra, canterò questa”. Faceva così, “Lalà, la, la, la….”

A Napoli, la prima sera, ho cantato quella. I miei compagni la sentono e mi dicono: “Ah, sei un ragazzo intelligente. Ci tieni proprio a fare subito una bella impressione ai tifosi del Napoli, eh?” Io non capivo. Poi, dopo la cena, Mario Rui mi si è avvicinato e mi ha detto: “Il titolo di questa canzone è Live is Life”.

Mi ha spiegato: “Questa canzone è diventata un simbolo grazie a Maradona, l’ha resa famosa lui. Durante un riscaldamento, cominciò a giocare e a fare numeri con il pallone sulle note di questa canzone”. Ma giuro che non lo sapevo. Allora i tifosi hanno particolarmente apprezzato che la stessi cantando, ma sono stato solo fortunato.

Ricordo i miei primi giorni a Napoli: dovunque guardassi, vedevo Maradona. Maradona, Maradona, Maradona. Maradona a Napoli è Dio. L’ho detto subito a mio padre. E lui mi ha risposto: “Portami lì prima che puoi!” Stavo andando in taxi al campo di allenamento, perché era il primo giorno e non avevo ancora una macchina. Poi, quando ho visto come guidano là, mi sono detto: “Non posso guidare qui. Non posso farcela, è impossibile”.

Poi però sono arrivato in hotel…e il paesaggio…oh mio Dio. Era la cosa più bella che avessi mai visto in vita mia, davvero. Dopo sono andato a fare una passeggiata in giro per la città e anche le persone anziane mi conoscevano già. Ancora prima che mettessi piede in campo. Le persone mi fermavano, “ma tu sei Kvaratskhelia!”

Rispondevo: “Sì, sono io!”. Sono un ragazzo giovane, arrivo dalla Dinamo Batumi. E ho un nome abbastanza complicato. Eppure le nonne, i nonni, tutti mi conoscevano già.

Ho detto tante volte ai miei amici che i georgiani e i napoletani sono quasi identici. Nel modo in cui entrambi amano così tanto il calcio. Abbiamo un modo di vivere la vita un po’…pazzerello? Non so come dirlo, provo a spiegarlo…La passione, la carica, l’energia. Anche in Georgia viviamo così.

Ai miei amici georgiani dico sempre: “Dovete venire a mangiare la pizza e la pasta a Napoli”.

L’altra cosa che dico sempre?

“Dovete venire a vedere una partita allo Stadio Maradona”.

Non scorderò mai la mia prima volta al Maradona. Sono entrato e già nello spogliatoio era tutto così speciale. Di solito, prima della partita non sono uno che va a fare ricognizione sul campo. Qualche giocatore lo fa, sente l’erba e cose di questo genere, o ascolta un po’ di musica in mezzo alla gente. Io non lo faccio mai. Ma al Maradona, la mia prima volta, ho pensato: Forse dovrei uscire. Devo vedere com’è.

Allora sono uscito ed era stupendo. Anche durante il riscaldamento, lo stadio era già pieno. Non si possono descrivere quelle sensazioni. Fanno andare proprio quella canzone: “Lalà, la, la, la”, quando comincia il riscaldamento. E poi mandano l’altra canzone di Maradona che arriva subito dopo…fa così, “Olè, olè, olè, olè” e allora i tifosi del Napoli cantano “Diego, Diegoooo”.

Quindi, ogni volta che mi scaldo al Maradona, canto anche io: “Diego, Diegooo”.

Mio padre lo adora.

I tifosi del Napoli sono davvero speciali. Nell’anno in cui abbiamo vinto lo scudetto, dopo la partita in trasferta contro la Juventus siamo rientrati all’aeroporto di Napoli e stavamo cercando di tornare a casa con il pullman della squadra, ma i tifosi hanno tirato fuori questi…non so cosa siano…fuochi artificiali, ma tutti colorati. In Italia credo li chiamino fumogeni, bengala. E a quel punto non vedevamo più niente. Anche dentro al pullman, facevamo fatica a respirare. Abbiamo detto all’autista: “Hey, accendi l’aria condizionata”.

Ma anche con l’aria condizionata, respiravamo a malapena. Era tutto blu e bianco. E fumo, tanto fumo.

Però le persone erano così felici. Una città intera, in festa. Tutti, davvero tutti…

E ovviamente anche io.

Sono davvero molto, molto felice di giocare per il club di Maradona.

Quando ero un bambino in Georgia la mia vita era un po’ complicata. A volte c’era qualche problema. Non entrerò nei dettagli, ma non era sempre tutto facile, mi capisci? E ora invece sono felice perché so che faccio sorridere il mio popolo giocando per il Napoli. Tutte le persone ci guardano. E ci seguono con passione.

Qualche volta, quando torno in Georgia e vedo i bambini che giocano con il mio nome sulla maglia, non ci credo ancora. Mi viene da pensare che quel Kvaratskhelia sulla maglia sia qualche altro ragazzo.

Non ho mai sognato che accadesse, perché era lontano dal mio modo di pensare. Ma ora che li vedo, mi danno forza e ispirazione”.

La pelota no se mancha.