Era il 18 agosto quando un Napoli spuntato, spento e tecnicamente mediocre rimediava una sconfitta cocente al Bentegodi di Verona, gettando l’intero ambiente nello sconforto più totale. È passato meno di un mese, eppure sembra una vita fa.
Quella partita aveva riportato prepotentemente a galla tutte le insicurezze di un gruppo piombato in un incubo dal quale si era illuso di essersi svegliato con l’arrivo di Antonio Conte. L’entusiasmo per il suo approdo si era improvvisamente perso in quel secondo tempo, e tutte le criticità si erano ripresentate alla porta in un pomeriggio da brividi di metà agosto.
Ma lui l’aveva detto, che bisognava faticà, che la salita non era terminata. Quei tre schiaffi, a guardarli adesso, sembrano le più dolci delle carezze. Da lì è uscito fuori il coraggio, da parte di tutti. Della dirigenza nell’acquistare Lukaku, McTominay, Neres e Gilmour prima ancora di cedere (in prestito) Osimhen. Della squadra, che ha finalmente capito che solo con la dedizione e l’impegno si poteva uscire da quel tunnel. Dell’allenatore, le cui polemiche aperte con la società in conferenza stampa hanno sortito gli effetti augurati.
Poi, il resto, l’ha fatto il campo. Il Maradona, i suoi tifosi, l’aura benedetta che è tornata ad avvolgere ogni filo d’erba di quell’impianto magico nonostante le sue imperfezioni da risolvere. L’incubo è tornato ad essere sogno, in meno di un mese. E il Napoli è tornato ad essere primo, dopo un anno. Dopo quell’anno.