La rabbia è tanta, ci sta. È umanamente comprensibile. Sfidiamo chiunque a non perdere le staffe dopo un episodio simile. Juan Jesus ha subito il tentativo di furto dell’auto. In aggiunta ha scoperto di aver avuto a bordo inconsapevolmente dei rilevatori gps. Una cosa brutta, bruttissima. Che sarebbe potuta accadere ovunque.
I calciatori lo sanno. La notorietà, la ricchezza, attirano inevitabilmente i malviventi. Al nord le ville dei più noti vengono puntualmente saccheggiate. Anche degli idoli come Roberto Baggio. Pochi giorni fa Alvaro Morata ha dovuto lasciare il paesino nel milanese in cui aveva preso casa, dopo che il sindaco aveva pubblicamente annunciato il suo arrivo.
Sono fatti, non inventiamo nulla. Napoli non fa eccezione, certo. I problemi di sicurezza di questa città sono noti a tutti, ben chiari. Stampati a fuoco sulla fronte di ognuno dei suoi abitanti, perbene e non.
Ma quello che accade ai giocatori milionari è un qualcosa di geograficamente non collocabile. Juan Jesus non doveva scrivere quelle parole. “Purtroppo in una città così bella non mi sentirò mai più al sicuro” è una frase molto pericolosa. È uno spot negativo spiattellato sui social verso la stessa gente che lo ha accolto, lo ha difeso dai razzisti (Acerbi, ndr), lo ha reso cittadino napoletano, lo ha celebrato e reso immortale.
Juan, dimentichi che quando sei arrivato qui, al sicuro proprio non eri. Oramai la tua carriera era al capolinea, ma in azzurro hai ritrovato una seconda giovinezza. Napoli ti ha fatto da mamma, ti ha rimesso a nuovo e ti ha consentito di tornare ad essere un calciatore vero. Campione d’Italia, a Napoli.