Quattro anni fa con Diego morì il bambino che era in tutti noi


Il 25 novembre 2020 capitò di mercoledì. Ero per strada, stavo rientrando a casa. Improvvisamente mi arrivò un messaggio, “è morto Diego”. Appena rialzai la testa mi trovai davanti uno dei miei amici di sempre, per pura casualità. Lui, con me, aveva condiviso tutta la vita nel nome di Maradona. Lo guardai, mi guardò. La voce si spezzò prima di parlare. “Guarda qua”, gli dissi. Non parlammo più.

Quattro anni fa con Diego morì il bambino che era in tutti noi

Iniziammo a camminare verso casa, ci dividemmo quando eravamo sullo stesso marciapiede. Spalla a spalla, ancora una volta, nonostante la vita. Quella maledetta mattina il destino volle che condividessimo insieme quel momento, perché insieme avevamo iniziato a respirare l’odore del Diez.

Insieme eravamo il 25 febbraio 2013 ai piedi dell’hotel Continental con gli occhi verso il cielo aspettando di vederlo salutarci. Insieme eravamo quando avevamo troppi pochi anni per farci sporcare dall’esistenza ma abbastanza per scendere di casa all’alba con un pallone sotto il braccio e andare a rovinarci le ginocchia sull’asfalto rincorrendo il sogno.

Quel 25 novembre 2020 piangemmo tanto. Come lo facemmo il 26, il 27, il 28 e per tanti giorni a venire. Improvvisamente imperversava dentro un senso di vuoto a tratti inspiegabile, infantile, immotivato. Con Diego, quel giorno, morì il bambino che era in noi.

Quello che si era innamorato della vita perché la immaginava come un enorme stadio. E le saracinesche ritornarono ad essere saracinesche e non più porte, gli spiazzali tornarono ad essere spiazzali e non più rettangoli di gioco. Ma la pelota no, non si trasformò. La pelota rimase pelota. Da sola, amara, con il cuore sanguinante. Però eterna, senza macchie. Come voleva lui.


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