Dopo aver raccontato la vera storia del simbolo del Napoli, oggi spulceremo un’altra pagina indelebile dei meravigliosi aneddoti azzurri, quella di uno dei portieri con più presenze e più minuti d’imbattibilità che la squadra partenopea possa ricordare, Arnaldo Sentimenti.
Primo di cinque fratelli, nasce a Bomporto (in provincia di Modena) il 24 maggio 1914. La sua infanzia è contrassegnata dai disagi della prima guerra mondiale e della lenta ricostruzione. Fame, stenti, malattie; di sorrisi se ne vedono pochi, amici ancor di meno. Fortuna che c’è il suo fidato pallone a tenergli compagnia: diverranno inseparabili. Sentimenti, infatti, passa ben presto dalle bombe sganciate dal cielo a quelle – molto meno pericolose – che vede arrivare verso la sua porta. Fa il portiere, e come lui ce ne sono pochi in Italia.
Il primo a rendersene conto è un allenatore inglese che siede sulla panchina del Napoli, William Garbutt. Il “mister”, come lo chiamano tutti, un giorno vede quel giovane numero uno districarsi tra uscite tempestive e colpi di reni sbalorditivi, gli sembra un felino. Così gli propone di fare un provino all’ombra del Vesuvio. E’ il 1934, per Sentimenti è il grande salto: dopo aver indossato le maglie del Crevalcore e della squadra di calcio di Urbino, finalmente giunge al grande calcio.
All’inizio, però, la maglia azzurra che indossa non è quella da titolare, perché questa è dell’esperto Giuseppe Cavanna. Il ragazzo di Bomporto, tuttavia, non si scoraggia, perché la guerra gli ha insegnato a lottare e ad avere pazienza. E poi a Napoli trova l’amore della sua vita. Sarebbe un peccato lasciare la città proprio sul più bello. In effetti non ci pensa nemmeno e la sua scelta viene presto ripagata. Cavanna, infatti, si ritira e tocca a lui difendere i pali degli azzurri. Lo fa per ben 12 campionati consecutivi, dal 1934 al 1948, portando – per giunta – la fascia da capitano durante gli ultimi otto anni. Alla fine disputa ben 227 partite (195 in Serie A e 32 in Serie B), incidendo per sempre il suo nome nella storia napoletana. Con i suoi 800 minuti consecutivi d’imbattibilità è, infatti, ancora oggi uno dei portieri partenopei ad aver mantenuto più a lungo la propria porta inviolata.
Ciò che, però, lo inserisce di diritto tra le pagine degli aneddoti azzurri è una curiosa vicenda “familiare”. Sentimenti è un grande portiere, ma la sua specialità sono i calci di rigore. Nella sua carriera ne para ben 32. In particolare è la stagione 1941-42 ad incoronarlo come il “pararigori” per antonomasia, grazie ai 12 penalty consecutivi parati ai malcapitati rigoristi dell’epoca. Tra questi nientemeno che Giuseppe Meazza e Silvio Piola. Nessuno sembra potergli segnare dagli undici metri, figurarsi un portiere. Eppure un giorno accade l’imponderabile.
E’ il 17 maggio 1942, all’Ascarelli (come prima si chiamava il San Paolo) si gioca Napoli-Modena. A difendere i pali degli ospiti c’è Lucidio Sentimenti, per gli amici semplicemente “Cochi”, per Arnaldo il fratello. Un’altra guerra mondiale, la seconda, contrassegna la vita dei due e di milioni di cittadini d’Europa. Per cui si scende in campo all’ora di pranzo, quando le incursioni aeree sono poche e si può provare a distrarsi almeno per 90 minuti. Sotto il sole cocente del mezzodì il Napoli conduce 2-0, ma una imprevedibile sorpresa si nasconde dietro l’angolo. L’arbitro assegna un calcio di rigore al Modena e nella stupore generale sul dischetto si presenta proprio Lucidio. Un largo sorriso appare sui volti di tutti gli astanti, specie su quello del portiere azzurro, abituato a ben altri specialisti. Il fratello, però, con una finta ed una cannonata gli toglie quel ghigno beffardo dalla faccia: il “pararigori”, nonostante abbia intuito la traiettoria della sfera, è stato finalmente battuto. Così, Arnaldo, arrabbiatissimo per lo smacco subito, insegue “Cochi” per tutto il campo, tra le risate di un divertito pubblico.