Castel Capuano e lo sfarzoso banchetto nuziale di Bona Sforza e Sigismondo I
Gen 02, 2016 - Germana Squillace
È situato in via dei Tribunali e attualmente ospita ancora diversi uffici della Corte d’Appello. Castel Capuano, il più antico castello di Napoli dopo Castel dell’Ovo, ha accolto numerose personalità illustri. Sovrani normanni, reali angioini e aragonesi, celebri poeti e coraggiosi cavalieri hanno camminato per queste antiche sale. Fra tutti alcuni hanno lasciato il segno più di altri. È il caso di Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo Sforza, duca di Milano, e di Isabella d’Aragona, che con il banchetto del suo matrimonio iscrisse Castel Capuano negli annali di storia e anche in quelle culinari.
Il 6 dicembre 1517 il Castello partenopeo fece da sfondo a uno degli eventi più importanti del XVI secolo: il pranzo nuziale che consacrò il matrimonio tra il re di Polonia, Sigismondo I, e la giovane Sforza, abbigliata con un vestito di raso turchino tempestato di api in oro battuto, del valore di settemila ducati, con in capo un diadema di perle e pietre preziose. Il vecchio sovrano polacco non potendo presenziare inviò in Italia una propria delegazione: ambasciatori, cavalieri e un procuratore che rendesse ufficiale la sacra unione. Durante il viaggio gli inviati si fermarono a Wiener Neustadt, a sud di Vienna, per ottenere dall’imperatore un documento che assicurasse la conclusione del contratto matrimoniale.
Il convito durò circa nove ore durante le quali le pietanze furono intervallate da spettacoli allegorici. La maggior parte dei cibi si ispirarono alle vivande tipiche della cucina pugliese poiché era la preferita di Bona. Come antipasto fu servita la “pignolata”, un dolce composto di pinoli, farina e zucchero, una “jelatina di tonno” (un brodo grasso rappreso, condensato e raffreddato) e un’insalata di erbe. Come primo piatto gli “strangolapreti”, che corrispondono agli odierni “megneuìcchje” cioè gnocchetti baresi. Seguiti da piatti di piccione condito, fagiano, arrosto con salsa di vino, capponi con conigli, pasticci di carne, “bollito selvaggio”, “salaceterbolco” formato da uova di cefalo fresco salate, pigiate tra due assi e seccate al sole. Per contorno: olive. Furono portate a tavola anche “pizze fiorentine, pagonazze, bianche e sfogliate”. Queste ultime in realtà erano “lasagne verdi”, tipiche di Taranto, fatte di farina, lattuga tritata, grasso di maiale e pepe. Come dolci le “almongiavare”, ossia torte ripiena di tuorli d’uovo battuti con zucchero, e le “nevole con procassa”, cioè le “cartellate”, dolce pugliese con farina, olio, vino bianco e miele, ricoperto di cannella, zucchero a velo o mandorle. Tra una portata e l’altra tutti gli ospiti potevano intingere le dita nell’ “acqua a mano di buono odore”, poiché dato che si mangiava principalmente con le mani era necessario pulirle per evitare di mescolare i sapori. I festeggiamenti durarono in totale otto giorni, ed ebbero una forte eco in tutta l’Europa. Antenati dei giornalisti furono incaricati di trasmettere la descrizione di tutto l’evento alle diverse corti. La cronaca completa del matrimonio fu pubblicata da J. L. Decius, segretario del re Sigismondo I.
L’amore di Bona Sforza per i cibi pugliesi andò ben oltre il banchetto nuziale. La nuova regina era solita farli preparare anche in Polonia, al punto che inserì nella cucina polacca nuovi termini culinari come “kalafior” (cavolfiori), “cykoria”, “vampajoly” (lampascioni, cioè pianta erbacee conosciuta come cipolla canina) e “pomidory”.
Fonti: Agnese Palumbo, “101 donne che hanno fatto grande Napoli”, Roma, Newton Compton, 2010
F.F. de Daugnon, “Gli italiani in Polonia dal IX secolo al XVIII”, Crema, Tipografia Editrice Plausi e Cattaneo, 1905
Rossana Di Poce, “Castel Capuano 1517, cronaca di un banchetto durato due giorni”, in “Corriere del Mezzogiorno”, novembre 2015