Arrivando alla stazione centrale di Napoli in treno da Roma una delle prime cose ad incrociare lo sguardo dell’osservatore è l’imponente skyline del Centro Direzionale di Napoli, che emerge dal marasma dei palazzi più bassi. Sorto nel quartiere di Poggioreale su un ex area industriale dismessa di oltre 110 ettari, su progetto dell’architetto giapponese Kenzo Tange, cui fu affidato il progetto nel 1982.
Negli anni sessanta il comune, seguendo la corrente di “ricostruzione” della penisola, pensò di destinare a quell’area un intervento urbanistico su larga scala che rendesse Napoli una metropoli moderna, inutile dire che, sebbene l’intento fosse più che degno di nota, le future manutenzioni mancarono, degradando l’area.
Il progetto, in sè, aveva però alcuni spunti molto interessanti: il Centro Direzionale doveva servire a “smistare” il traffico in un luogo centrale della metropoli, non a caso fu pensato un sistema sotterraneo di parcheggi e passaggi che di fatto integravano perfettamente il nuovo progetto con il nucleo della città – trasferendo il traffico su livelli inferiori e rendendo pedonale una vastissima area.
Al progetto parteciparono vari architetti italiani, che si dedicarono alla progettazione dei simbolici grattacieli: Massimo Pica Ciamarra realizzò le due Torri Enel, Nicola Pagliara progettò le Torri del Banco di Napoli e il palazzo dell’Edilred, Renzo Piano il palazzetto dell’Olivetti, Corrado Beguinot realizzò invece l’imponente Torre Telecom Italia, fino al 2010 la torre più alta del paese.
La pioneristica “invenzione” di un centro direzionale per uffici in una città come Napoli la rese protagonista di un ennesimo primato, essendo il centro direzionale il primo agglomerato di grattacieli dell’Europa Meridionale (ed indi d’Italia) – la sua realizzazione, cui doveva seguire una sempre più forte modernizzazione (purtroppo, mai avvenuta) fu per lungo tempo al centro del dibattito sul costruire la città; Il centro Direzionale fu, in breve, un tentativo ben riuscito (ma non terminato) di rendere Napoli la metropoli che dovrebbe essere, rappresentando il sogno interrotto bruscamente di una crescita economica del paese che si immaginava proprio negli anni sessanta, quando si pensò la prima volta a quest’opera.