Il Padiglione dell’Espansione italiana in Oriente, quando alla Mostra d’Oltremare c’era una torre per Marco Polo


Esploratori e navigatori occidentali alla scoperta del continente asiatico. Ancor prima che il Festival dell’Oriente si imponesse tra gli eventi principali della Mostra d’Oltremare – come espressione dell’ormai consolidata prassi di svilimento che ha ridotto la cultura orientale a mero ricettario di benessere per occidentali stressati – già dalla sua fondazione nel 1940 il polo fieristico di Fuorigrotta ospitava una mostra dedicata al continente asiatico. Tale esposizione si svolgeva in un’apposita struttura: il Padiglione dell’Espansione italiana in Oriente.

Consapevoli che tale edificio risulterà del tutto sconosciuto ai più, dato l’abbandono e il degrado nel quale versa la struttura superstite, ne approfittiamo per riscattare dall’oblio le vicende di un luogo abbandonato. Quella che state per leggere, dunque, è la storia dell’ennesimo edificio negato della Mostra d’Oltremare, che va ad aggiungersi agli abbandoni da noi già denunciati dei vicini padiglioni Rodi, Albania e Libia.

L’architettura del Padiglione

Il Padiglione dell’Espansione italiana in Oriente sorge alle spalle del Padiglione Rodi, lungo il viale che un tempo conduceva al Parco Faunistico (oggi sede dello zoo di Napoli). L’edificio fu progettato nel 1938 da Giorgio Calza Bini, fratello dell’architetto Alberto Calza Bini, personalità di spicco nelle manovre di ideologizzazione dell’architettura nel corso del ventennio fascista.

Nel 1923, infatti, Alberto Calza Bini istituì il Sindacato degli Architetti Fascisti ricoprendone il ruolo di segretario fino al 1936. Nello stesso anno fondò a Napoli la Facoltà di Architettura della Federico II della quale fu il primo presidente. Due anni dopo fu scelto da Vincenzo Tecchio, commissario della Triennale d’Oltremare, a ricoprire il ruolo di funzionario tecnico della Mostra. E’ proprio ad Alberto Calza Bini, pertanto, che si deve l’insediamento dei giovani architetti dell’ateneo napoletano (come Luigi Piccinato, Giulio De Luca e Carlo Cocchia) nella progettazione di gran parte degli edifici del polo fieristico di Fuorigrotta.

Il Padiglione orientale fu realizzato per celebrare i rapporti millenari tra l’Italia e il continente asiatico, alla luce della ben nota retorica di civilizzazione – avallata dal regime – compiuta dal popolo italiano a partire dalla romanità, della quale il fascismo si considerava il principale erede.

A differenza degli altri padiglioni del Settore Geografico, l’edificio di Giorgio Calza Bini non ebbe una progettazione organica. Ancor prima di destinarlo ad una mostra orientale, infatti, gli organi direttivi della Triennale stabilirono che l’edificio d’ingresso dovesse presentare un preciso carattere monumentale. Il risultato fu un padiglione caratterizzato da due stili distinti: severo e solenne all’esterno e dal delicato tocco orientale all’interno.

L’ingresso del padiglione. Foto contenuta in Siola U., La Mostra d’Oltremare e Fuorigrotta, Napoli 1990.

L’austerità della struttura d’ingresso fu assicurata da un massiccio loggiato costituito da due file di colonne sorrette da un rigido basamento di marmo. L’ingresso si formulava in tre larghi varchi, ornati da altrettanti bassorilievi ad opera di Luigi Scirocchi raffiguranti tre scene: l’incontro tra Marco Polo e Gran Khan, l’opera dei frati missionari in Oriente e un’imbarcazione romana nei mari asiatici. Ai lati della struttura frontale si sviluppavano le braccia laterali del padiglione con le sale espositive.

Bassorilievo di Luigi Scirocchi. Foto: Emporium Vol. XCII, n. 548, agosto 1940.

Superati i varchi d’ingresso, un ampio cortile dalla pianta rettangolare ospitava una gradinata che conduceva al cuore del padiglione: la Torre di Marco Polo. Ai lati della torre, un sottile porticato sostenente delle voltine in stile orientale, delimitava il confine settentrionale dell’edificio.

La Torre di Marco Polo. Foto: Emporium Vol. XCII, n. 548, agosto 1940.

Ai lati della gradinata d’accesso alla torre, Alberto Calza Bini progettò due giardini: uno in stile cinese e l’altro in stile giapponese.

Il materiale espositivo

L’allestimento fu curato da Francesco Dal Pozzo: scultore, illustratore di moda e decoratore, le cui opere furono esposte nelle principali fiere degli anni ’20 e ‘30, sia italiane (Venezia, Roma, Monza e Milano) che estere (Varsavia e Parigi). Nel 1927 vinse il concorso per l’insegnamento di disegno presso la Reale Accademia di Bangkok, dove visse per oltre un anno approfondendo le tecniche di incisione orientali, che influenzarono notevolmente la sua produzione artistica. Proprio alla luce delle sue conoscenze nel campo dell’arte asiatica, Dal Pozzo fu scelto per allestire gli interni del Padiglione Orientale della Triennale d’Oltremare.

L’esposizione si sviluppava secondo un preciso percorso storico, descrivendo le varie tappe storiche che hanno consolidato il rapporto dell’Italia con le popolazioni orientali. Il percorso iniziava con la celebrazione dei primi contatti verificatesi in epoca romana e terminava con i rapporti instaurati dal fascismo con i paesi asiatici.

La prima fase del rapporto tra Roma e l’Oriente fu descritta attraverso una serie di pannelli illustrativi che celebravano le relazioni diplomatiche instaurate dal II al IV secolo d.C. tra Roma e Cina, alla luce dei commerci sviluppatisi lungo la via della via della seta.

Una sala espositiva del Padiglione. Foto: Emporium Vol. XCII, n. 548, agosto 1940.

La narrazione proseguiva con la celebrazione dei contatti che, a partire dal XIII secolo, si verificarono quando «l’Italia – come si legge in un approfondimento dedicato all’inaugurazione della Triennale apparso sulla rivista Emporium nel luglio 1940 – riprende le vie dell’est ed a mezzo di missionari, diplomatici, mercanti, studiosi, scienziati, viaggiatori, esploratori ed artisti, che diffondono in quelle lontane regioni i valori più significativi della civiltà nostra: si stringono sempre più le relazioni commerciali, s’intensificano le ambascerie diplomatiche, si moltiplicano nei due sensi le correnti culturali».

In tale prospettiva, la Torre di Marco Polo non poteva che celebrare i viaggi del principale esploratore italiano in Oriente lungo la via della seta. Le pareti dell’edificio furono decorate con le miniature del più antico codice conosciuto de “Il Milione”, mentre al centro della Torre una bacheca in vetro esponeva alcuni rari manoscritti dell’opera e pregevoli edizioni antiche.

L’interno della Torre di Marco Polo. Foto: Emporium Vol. XCII, n. 548, agosto 1940.

La mostra proseguiva con la celebrazione delle imprese di altri viaggiatori italiani, come la prima circumnavigazione del globo ad opera dell’esploratore vicentino Antonio Pigafetta che, dal 1519 al 1522, accompagnò Magellano nel suo lungo viaggio attorno al mondo, uscendo indenne dalla Battaglia di Mactan nella quale Magellano perse la vita.

Non potevano mancare la commemorazione di alcune importanti tappe storiche che consolidarono il rapporto culturale tra l’Italia e l’Oriente, come l’arrivo a Roma della prima ambasceria giapponese nel 1585 o la fondazione a Napoli del “Collegio dei Cinesi” ad opera del Missionario Matteo Ripa, che successivamente diventerà l’Università Orientale.

Il percorso espositivo celebrava anche i viaggi realizzati nel ‘600 in Mesopotamia, Persia ed India dall’orientalista Pietro Della Valle. E ancora, le innumerevoli esplorazioni italiane dell’800, da quelle di Odoardo Beccari in India, Malesia e Indonesia, a quelle di Leonardo Fea in Birmania fino alle spedizioni in Persia del generale borbonico Paolo Crescenzo Martino Avitabile.

L’ultima sala della mostra era dedicata al rapporto tra il regime fascista e l’oriente, celebrato attraverso la narrazione delle missioni diplomatiche, degli scambi culturali e dei trattati commerciali stipulati in quegli anni. La Mostra si concludeva con una grande carta dell’Asia, riproducente in sintesi i principali itinerari esplorativi degli italiani in Oriente.

Ricchissima, infine, era l’esposizione di manifatture asiatiche presenti lungo il percorso espositivo, dalle statue birmane e siamesi alle celebri porcellane cinesi. A queste si aggiungevano anche una ricca esposizione di tappeti orientali e di armi d’epoca.

Nuove destinazioni e abbandono

Durante la II guerra mondiale la mostra fu occupata dagli americani che vi allestirono il 21st General Hospital. Molte delle strutture sopravvissute ai bombardamenti furono convertite in sale operatorie o in depositi medici. In tale contesto, la torre di Marco Polo del Padiglione Orientale ospitò lo spaccio per le protesi ortopediche.

La Torre di Marco Polo convertito in spaccio per protesi ortopediche. Foto: 36th Div Texas Reenactment Napoli.

Nel 1952 il polo fieristico di Fuorigrotta riaprì con l’inaugurazione della Mostra sul Lavoro Italiano nel Mondo. Per l’occasione molti padiglioni, profondamente danneggiati dai bombardamenti, furono ristrutturati o convertiti in nuove strutture. Il rifacimento del Padiglione orientale ad opera di Marcello Sfogli e Massimo Nunziata mutò notevolmente l’aspetto originario dell’edificio, convertito nel Padiglione delle Attività Creditizie e Assicurative.

Il loggiato originario subì un notevole abbassamento e fu chiuso da vetrate per aggiungere ulteriore spazio espositivo. I bassorilievi posti all’ingresso vennero eliminati e con loro ogni altro elemento orientale. Scomparvero anche la torre di Marco Polo e il sottile porticato che delimitava il versante nord del padiglione, ambedue sostituiti da un nuovo corpo espositivo di forma rettangolare. Gli spazi laterali, invece, furono convertiti in ampi loggiati porticati.

Anche il cortile interno subì una profonda trasformazione, grazie alla progettazione di un sistema di rampe che conducevano ai loggiati e che offrirono al cortile una particolare configurazione a “terrazza”.

Il Padiglione delle Attività creditizie e assicurative.

La nuova mostra non ottenne il successo sperato e chiuse poco dopo. Il padiglione riaprì solo alla fine degli anni ’50 grazie ad Eduardo Caianiello, professore di Fisica Teorica dell’Università di Napoli, che vi stabilì la Scuola di Perfezionamento in Fisica Teorica e Nucleare. All’inaugurazione della nuova struttura universitaria del 1 aprile 1958, intervenne anche Werner Heisenberg, tra i massimi fisici del ‘900. Pochi anni dopo, l’università di Napoli acquisì anche i vicini Padiglione Rodi e l’ex struttura del Ristorante del Boschetto.

Nella sua nuova veste accademica l’edificio subì ulteriori trasformazioni. Scomparvero infatti i porticati, convertiti in ambienti destinati alle attività didattiche.

Con l’avvento del nuovo millennio il dipartimento di fisica si trasferì definitivamente a Monte Sant’Angelo condannando l’edificio ad un nuovo abbandono. Da allora l’ex Padiglione Orientale della Mostra d’Oltremare è chiuso e versa in uno stato di drammatico abbandono e degrado. L’area, infatti, è interdetta al pubblico da una recinzione in ferro, la stessa che vieta l’accesso anche al vicino Padiglione Rodi.

La struttura superstite è visibile nei pressi del Teatro dei Piccoli e dello Zoo di Napoli. Lo spettacolo è desolante: un cumulo di sterpaglie che si arrampicano su pareti fatiscenti, grate arrugginite e vetri rotti. Ovvero, su quel che resta di ciò che un tempo doveva presentarsi come un raffinato microcosmo orientale nel cuore dei Campi Flegrei.

Il padiglione oggi. Foto: Marco Ciotola.

 

La recinzione che delimita il padiglione. Foto: Marco Ciotola.

Bibliografia
– Bacichi O., Cepollaro A., Costantini V., Dal Pozzo Gaggiotti A., Zaghi C., La prima mostra triennale delle Terre Italiane d’Oltremare, Emporium Vol. XCII, n. 548, agosto 1940, Bergamo.
– Siola U., La Mostra d’Oltremare e Fuorigrotta, Napoli 1990.
– Stenti S. e Cappiello V. (a cura di), Napoli guida e dintorni. Itinerari di architettura moderna, Napoli 2010.

Sitografia
– Ferlito A., Re-inventare l’italianità: la Triennale delle Terre italiane d’Oltremare di Napoli, contributo pubblicato su roots§routes.


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