La caffettiera napoletana non fu inventata da un napoletano
Ott 10, 2014 - Francesco Pipitone
Caffettiera Napoletana
Ogni napoletano è un alchimista del caffè: tutti hanno teorie, procedimenti e trucchi per preparare la bevanda, formatisi attraverso anni di pratica e frequentazione di caffettiere e bar. Certo, ci sta chi è più bravo e chi è meno bravo, alcuni hanno addirittura rinunciato a prepararlo da soli perché la loro arte non era abbastanza raffinata affinché il risultato non fosse na zoza.
La cuccumella, comunemente detta “caffettiera napoletana” o semplicemente “napoletana”, nel corso degli anni è stata sostituita dalla moka, la quale, inventata negli anni ’30 e commercializzata a partire dal secondo dopoguerra, ha pian piano sostituito la cuccumella nelle case italiane e pure napoletane, a parte qualche eccezione, poiché l’utilizzo della moka è più semplice e veloce.
Se già con la moka, nonostante sia semplice da usare, non è proprio facilissimo preparare un buon caffè e non dell’acqua sporca, a volte bruciacchiata, parlando di cuccumella non possiamo negare che per adoperarla bene ci vuole davvero abilità, seppur oggi la vita sia molto più semplificata perché possiamo comprare il caffè già ridotto in polvere e pronto all’uso.
Fino ad alcuni decenni fa, infatti, si doveva comprare il caffè in chicchi, tostarlo a manto di monaco e infine macinarlo a mano, operazioni che richiedono particolari capacità visive, per determinare la giusta macinazione e per scorgere il punto giusto di cottura, in modo da non perdere tutto l’aroma, sia olfattive, sempre con riguardo alla tostatura.
Non è tuttavia finita qui, poiché a questo punto vi è la preparazione effettiva della bevanda, in cui bisogna fare attenzione alla quantità di acqua messa, a posizionare e pressare in modo giusto la polvere nel filtro, il punto giusto di bollitura, il capovolgimento della caffettiera e la percolazione (cioè il processo di discesa dell’acqua), oltre a vari trucchi come ad esempio quelli suggeriti da Eduardo De Filippo, cioè il cuppetiello e il mezzo cucchiaino di polvere nell’acqua ancora fredda, in modo che cominci ad aromatizzarsi mentre è ancora sul fuoco.
Dopo tutto ciò, immaginate se il caffè veniva male: una vera e propria tragedia, un fallimento per l’alchimista napoletano che cominciava a tormentarsi per capire dove avesse sbagliato.
Un fatto curioso di cui relativamente poche persone sono a conoscenza, è che la caffettiera napoletana ha in realtà origini francesi, essendo stata ideata dal parigino Morize nel 1819, e successivamente perfezionata a Napoli. Fino ad allora il caffè era preparato nei samovar, immergendo nell’acqua un sacchetto di tela contenente la polvere di caffè e legato con un cordoncino.
Precedentemente, a partire dai primi decenni dopo la scoperta delle Americhe fino al Settecento, in Europa si usava semplicemente bollire la polvere nell’acqua, una modalità che rendeva difficoltoso bere il caffè in quanto si portavano alla bocca i fondi, che davano fastidio.
La prima caffettiera di cui si ha comunque notizia è quella etiope, detta jabena, un contenitore di terracotta che si faceva sempre più stretto fino ad arrivare al collo e munito di beccuccio, mentre in Turchia avevano l’ibrik, comunemente usato ancora oggi e con esso si prepara, appunto, il caffè alla turca, e che richiede appositi utensili per essere fatto correttamente.
In qualunque modo sia preparato, il caffè è sempre un rito che richiede pratica e attenzione, eccezion fatta naturalmente per quei preparati solubili o quelle macchine per il caffè che alcuni utilizzano, specialmente nel mondo anglosassone, i quali hanno ben poco del caffè come si intende a Napoli.
Fonti:
– William Ukers, Tutto sul caffè