È chiamata anche Chiesa di Santa Maria della Pietà o Pietatella per via di una effige della Vergine della Pietà, ma forse la maggior parte di voi la conoscono come Cappella Sansevero. Concepita come luogo di sepoltura degli appartenenti alla famiglia Sangro, è attualmente uno dei musei più visitati di Napoli, non solo per il Cristo Velato. Anche se sulla sua costruzione si narrano diverse leggende. Don Cesare d’Engenio Caracciolo, nella “Napoli Sacra”, narra che uomo innocente, trascinato in catene verso il carcere, vide un’immagine della Madonna nel giardino del palazzo dei Sangro in Piazza San Domenico Maggiore. Il condannato promise a se stesso e alla Vergine che se fosse stato scarcerato avrebbe donato alla Madonna una lampada d’argento e un’iscrizione. L’uomo fu dichiarato innocente e tenne fede al voto. Il luogo divenne meta di pellegrinaggio al punto che anche il duca di Torremaggiore, Giovan Francesco di Sangro, gravemente malato, chiese alla Vergine di guarire. Quando anche la sua richiesta fu accolta, il nobile, nel 1590, fece costruire una piccola cappella lì dove sorgeva quella effige dedicata alla Madonna, raffigurazione che oggi è situata sull’Altare maggiore. Alcuni dicono che la struttura religiosa fu costruita sui resti di un antico tempio dedicato a Iside, dea egizia della maternità e della fertilità.
La cappella fu poi rinnovata all’inizio del Seicento dal figlio del duca Alessandro di Sangro, patriarca di Alessandria, che ampliò il complesso trasformandolo in un vero e proprio tempio votivo destinato a ospitare i corpi dei suoi antenati e successori. Il motivo però per il quale questo luogo è così famoso sono gli interventi decorativi che vi apportò Raimondo di Sangro alla metà del Settecento. Il principe chiamò alcuni dei più grandi artisti dell’epoca, da Giuseppe Sanmartino ad Antonio Corradini, per realizzare opere che testimoniassero la grandezza del proprio casato. L’obiettivo del nobile è impresso anche in un’iscrizione posta sulla porta principale del complesso monumentale che recita: “Alessandro di Sangro patriarca di Alessandria destinò questo tempio, innalzato dalle fondamenta alla Beata Vergine, a sepolcro per sé e per i suoi nell’anno del Signore 1613”.
Impossibile non notare la straordinaria ricchezza decorativa che illumina la cappella con i suoi marmi colorati e le statue. Il tutto rende questa struttura un piccolo gioiellino del barocco partenopeo. Molti studiosi però ritengono che l’impianto decorativo non sia stato realizzato in questo modo solo in base ai dettami barocchi, ma nasconda tra i suoi motivi estetici una simbologia ermetica ed esoterica, probabilmente legata all’alchimia. Inoltre le decorazioni sono anche ricche di simboli massonici, infatti, l’anno in cui il principe iniziò i lavori nella cappella, coincide con il periodo in cui egli si iscrisse alla massoneria. Alla fine dell’Ottocento, a causa di un’infiltrazione d’acqua, il ponte che collegava il mausoleo al palazzo signorile, crollò facendo perdere anche alcuni affreschi e pezzi originali del pavimento della cappella stessa. Ma nonostante il passare degli anni ciò che rende ancora misterioso questo complesso è rimasto intatto. Due modelli anatomici, scheletri di un uomo e una donna rivestiti dall’intera rete di vasi sanguigni e vene capillari. Questi reperti hanno contribuito ad alimentare le leggende nate intorno alla figura del principe di San Severo. Infine, è contenuta in questa cappella una delle opere più affascinanti di Napoli: il Cristo Velato, di cui tratteremo nel prossimo articolo.
Fonti: Gian Luca Margheriti, “I personaggi più misteriosi della storia”, Roma, Newton Compton, 2013
Giuseppe Ortolano, “1001 cosa da vedere in Italia almeno una volta nella vita”, Roma, Newton Compton, 2013
Don Cesare d’Engenio Caracciolo, “Napoli Sacra”, Ottavio Beltrano, 1623